Immagine: Luigi Grieco
SILLABARI
Rubrica a cura di Silvia Rosa
PADRE | ALESSANDRO PERTOSA
«Padre» è la parola-scrigno che a mio avviso consente di svelare meglio Parola di Isacco. Un progetto in cui ho provato a dare voce a un personaggio spesso silenzioso, marginale, quasi invisibile nella narrazione biblica. E proprio da questo silenzio è emersa la parola «padre», carica di significati, di domande sospese, di ferite aperte. Perché «padre» è una parola complessa. Densa. A volte tagliente. Indica chi dà la vita, ma anche chi introduce la separazione, il limite, il primo distacco. Nel mio testo, la figura del padre è insieme rifugio e ostacolo, forza e fragilità. Padre come una presenza sacra: un altare, un luogo sicuro dove ripararsi. Ma poi nella storia c’è un accadimento, un momento – uno sguardo, un gesto interrotto – in cui qualcosa si è spezzato. E in quella frattura Isacco impara a stare in piedi da solo. E dopo Moriah, dopo lo scandallo del sacrificio, il ragazzo porta addosso la sua ombra come un segno che non si può togliere. E la figura di Abramo, il padre, si ammanta di una luce nuova: essere padre significa anche fare un passo indietro, rinunciare al controllo, morire un po’ per permettere al figlio di nascere davvero.
Da Parola di Isacco (Puntoacapo Editrice 2023)
Soliloquio di Abramo
per amore questa notte
fuori le stelle e dentro il crepacuore
fino al monte Moriah
io non resisto tre giorni di cammino
scannare un figlio dio, vicino
ma se proprio vuoi che sia io
l’assassino, l’uccisore
ti sfido:
prenditi il peso e l’orrore
il suo sangue e il mio
lasciami solo la tua indifferenza
la discendenza invece e l’onore
gettali nell’oblio insieme alle mie pene
e ti sarò fedele sì, starò ai patti
come si conviene
quando l’amore ti tocca
è una roba da matti.
*
e adesso che è tutto finito
con le mani ancora sporche di sangue
mi dici che hai solo obbedito
a un amore più grande di me
ti ascolto
come se fossi un altro
come se guardassi da fuori la scena
e non trovo le parole più adatte
a dire la pena e le prove
perché il mio vocabolario non contempla
la lingua che viene
da un eterno altrove.
*
Al padre
I
continui a non parlarmi muto!
nella tua glaciale ostinazione
eppure io voglio sapere quanto ti è costato
se ci godevi, se eri straziato
o soltanto un perfetto fedele
e mi ricordo il tuo abbraccio
in quell’alba gelata hai tremato per ore
(ma ignoro se)
di piacere o di terrore.
*
Alessandro Pertosa (1980) abita fra i monti dell’Appennino marchigiano e dal crinale scruta il mare. Insegna Filosofia teoretica all’ISSR di Ancona e Drammaturgia e linguaggio teatrale all’Accademia Nuovi Linguaggi di Loreto. Collabora con musicisti, pittori, commedianti e curatori di festival. Negli scorsi anni ha pubblicato vari saggi di filosofia e alcuni testi teatrali. Le più recenti raccolte poetiche sono Passio. Con gli occhi degli altri (Cartacanta 2019) e Biglietti con vista sulle crepe della Storia (puntoacapo 2020).
