Da Ombra da viaggio. Poesie (1983-2017), a cura di Roberto Deidier (Giometti & Antonello, 2024)
(…) Ombra da viaggio è (quindi) il suo blasone, la sua sigla. Si può viaggiare nella realtà come ombra, inconsistenti e invisibili, come nel celebre racconto di Chamisso, affrancandosi da ogni corporeità; oppure quell’ombra può essere il riflesso visibile del cammino compiuto, delle tappe percorse: l’ombra come scansione del tempo. Ancora, può essere un semplice modo di nascondersi, come in effetti il poeta Marotta fece. In qualsiasi modo la intendiamo, la metafora ha comunque una sua derivazione, per quel lettore colto e onnivoro che era stato lo studente a Urbino. Il viaggiatore e la sua ombra è un titolo di Nietzsche, e se nulla può apparire più estraneo, a prima vista, del pensiero nicciano al molteplice laboratorio di Marotta, è solo perché ancora oggi ci sfugge quel tanto di creaturale, di innocente, di primigenio che pure si agita nelle sue poesie e nel filosofo più sui generis che ci abbia consegnato il pensiero d’Occidente. Volendo andare più a fondo, infatti, tra lui e Nietzsche c’era stato un tramite essenziale, quel Sandro Penna che guardava al mondo sensibile con lo sguardo di un fanciullo, di quel puer aeternus numinosamente apparso come un simbolo ossessivo al termine del viaggio concettuoso di Zarathustra. Chi osserva, nei versi di questo poeta, è sempre al di là di una parete, percettiva e privata e insieme collettiva, culturale: è qualcuno che parla da una dimensione di oltre-umanità, ben più antica delle assuefazioni sociali in cui si imbatte, della routine, dell’abbandonarsi.
(Dall’introduzione di Roberto Deidier)
È un sole per cani sdraiati
ancora non caldo, stamani
con i balconi aperti si può stare.
Ti piace guardare da qui
la piccola casa deposta nel nero
… l’ordine del suo pensiero,
le tracce, gli arnesi
di un umano lavoro attrezzato
a ripetere i giorni, i mesi,
la vita esigua dei padri…
Se pensi a qualcosa che viene
intenerisci, fai povero l’orto
il giorno di figlio che aspetti.
*
Sono giorni di cattivo tempo.
Persone si strappano in giro cercando
un luogo di riposo.
Una voce s’alza sui baveri avverte
di una cosa imminente: c’è un passo
che ultimo porta a finire.
Si sente che torna a spingere
se segue un dolore le braccia
una folla di gente alle porte.
E attento, sta’ attento,
si ammalano i cani a questo tempo.
E intanto è inverno, è freddo, accorri
dove amavano un giorno le mani.
Al tepore dei corpi non si domanda
questa eterna dolcezza.
*
Chi sa dov’è che intanto scorre
l’icona che talvolta splende
mutabile per queste strade
nere, tormentose di fanali.
E poi chi sa se è vero
se in vita si conoscono persone
o solo brune immagini
che una pietà indistinta donano
quando i passanti incrociano
lo sguardo di perdono e il desiderio.
*
Il mare è più scuro del cielo
e una linea laggiù ha di lampi
di spaghi più bianchi e di virgole
che stampano e legano in aria
discorsi perduti.
Ti commuoveva la parola mare
per averla udita un giorno da lontano
come nuova, tanto uguale
a qualcosa che non c’era.
Ti mancava come tutte quelle cose,
gli anni, le spine, le rose,
che disperate inclinano.
La vigna
Il fronte del maltempo è nei pensieri
un grumo di giornate dietro i vetri.
Lo stormo di preghiere se ne resta
senza pali e senza grappoli.
La mongolfiera
In un attimo la nuvola e mia madre
furono l’ombra della stessa cosa.
Sagoma e cuore per sparire altrove
in una luce aperta di collina tutta azzurra.
Per un attimo la nuvola è mia madre
opera di sola aria e di calore.
Maurizio Marotta (Laurino 1963 – Salerno 2020) ha scritto poesie, prose e ha svolto con lo pseudonimo Talin un’intensa attività grafica. In vita ha pubblicato due raccolte di versi, I cappotti morti (1989) e Il cielo dai balconi (1991). Tra le sue prose, spese in periodici e plaquette, si ricorda Cane di pane (con illustrazioni di Oreste Zavola, orecchio acerbo 2002). Ha creato il sito “Zadalampe”, dedicato a memorie e cronache di Laurino.
In copertina, uno scatto di Tamás Köszegi
