I maestri (XVI) – Anna Achmatova

Autore/a cura di:

Poesie da Anna Achmatova, “Luna allo zenit” (Passigli, 2021)

Ho accompagnato l’amico alla soglia,
Ho indugiato nella polvere d’oro.
Dal piccolo campanile vicino
Gravi rintocchi fluivano.
Abbandonata! Parola non vera:
Sono forse una lettera o un fiore?
Ora uno sguardo severo hanno gli occhi
Nella specchiera scurita.
 
*
 
Ho imparato a vivere con semplicità, saggezza,
A guardare il cielo e pregare il Signore,
E lungamente avanti sera vagare
Per stancare un’inutile angoscia.
 
Quando fruscia nel burrone la bardana
E il grappolo del sorbo giallo-rosso appassisce,
Compongo versi pieni di gaiezza
Sulla vita caduca, caduca e bella.
 
Ritorno. Mi lecca la mano un piumoso
Gattino, fa le fusa più lusinghevole,
E vivido un lume s’accende
Sulla torretta alla segheria del lago.
 
Solo di rado rompe la quiete Il grido
Della cicogna che si posa sul letto.

E se tu picchi allora la mia porta,
Mi pare che nemmeno potrò udire.
 
*
 
Voce del ricordo
 
Che vedi con occhi appannati alla parete
Quando in cielo è il tardo crepuscolo?
 
Un gabbiano sull’azzurra tovaglia dell’acqua,
Oppure i giardini di Firenze?
 
O il parco immenso di Cárskoe Seló
E l’angoscia ti tagliò la strada?
 
O alle tue ginocchia vedi chi abbandonò
Per la bianca morte la tua prigionia?
 
No, vedo solo la parete e su essa
I riflessi dei fuochi del cielo che si spengono.
 
*
  
Le ore serali davanti al tavolino,
La pagina bianca senza rimedio,
La mimosa sa di Nizza e di tepore,
Nel lume di luna vola un grosso uccello.
 
E annodando strette le trecce per la notte,
Quasi domani vi fosse bisogno di trecce,
Guardo alla finestra senza più rattristarmi
Il mare, i sabbiosi declivi.
 
Quale potere ha colui
Che non chiede nemmeno tenerezza…
Io non posso levare le palpebre stanche
Quand’egli pronuncia il mio nome.
 
*
 
Non so se vivi ancora, 
Se ti si può cercare sulla terra
O solo pienamente piangerti defunto
nella meditazione della sera.
 
Tutto è per te: la preghiera del giorno,
E la febbre spossante dell’insonnia,
E dei miei versi il bianco stormo,
E dei miei occhi l’azzurro in cielo.
 
Nessuno è stato più intimo per me,
Nessuno mi ha così contristata,
Perfino chi m’ha consegnata ai tormenti,
Perfino chi mi ha bandita ed obliata.
 
*
 
C’è nell’intimità degli uomini una linea recondita,
Che non è dato passare all’amore e alla passione,
Anche se in un sinistro silenzio le labbra si fondono
E dall’amore si fa a pezzi il cuore.
 
Anche l’amicizia qui è impotente, ed anni
Di un’alta felicità di fuoco,
Quando l’anima è libera ed estranea
Al lento languore della voluttà.
 
È folle chi la cerca, e coloro
Che l’hanno raggiunta, li coglie l’angoscia…
Ora puoi capire perché non batte
Il mio cuore sotto la tua mano.



Anna Andreevna Achmatova (vero nome: Anna Andreevna Gorenko) nacque a Bol’soj Fontan (all’epoca in Russia, ora in Ucraina) il 23 giugno 1889 e morì a Mosca il 5 marzo 1966). Fu una poeta russa. (Il fatto di definirsi poeta, al maschile, e non poetessa fu una sua precisa volontà.)

Entrambi i genitori erano di origini nobili e si trasferirono a Tsarskoe Selo (residenza estiva degli zar) quando Anna era ancora bambina. Quando il padre venne a sapere che la figlia voleva scrivere poesie, le impedì di usare il suo cognome, Gurenko, e Anna dovette inventarsi un nome d’arte.

Nel 1910 Anna sposò il poeta Nicolaj Gumilëv. Andarono in viaggio di nozze a Parigi ed Anna ebbe modo di conoscere Amedeo Modigliani. Tornati in patria il marito partì per un viaggio solitario di sei mesi in Africa. Lei tornò a Parigi.
Rientrata in patria, aderì alla corrente letteraria acmeista, fondata dal marito. Pubblicò due raccolte di poesie, nel 1912 e nel 1914. Nel frattempo ebbe un figlio dal marito, ma nel 1918 i due si separarono. In quel periodo Anna scrisse molto, e a differenza di molti poeti suoi compatrioti, che decisero di emigrare dopo la rivoluzione d’ottobre, ivi compresa la sua amica Marina Cvetaeva, lei rimase in patria.

Durante il regime, le su pubblicazioni furono vietate; le fu revocata anche la tessera alimentare e visse quindi elemosinando da amici, mentre le sue poesie si diffondevano clandestinamente su foglietti di carta. Una volta imparate a memoria, i foglietti venivano distrutti.
 
Fu riabilitata solo nel 1955, anche se tenuta sempre sotto osservazione.
Uscì dalla Russia solo per recarsi in Italia a ritirare il premio Etna-Taormina e a Oxford, in Inghilterra, dove le fu conferita una laurea honoris causa.

 

Sito web creato con WordPress.com.