I maestri (XIII) – Pierluigi Cappello

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Piangere non è un sussulto di scapole
e adesso che ho pianto
non ho parole migliori di queste
per dire che ho pianto
le parole più belle
le parole più pure
non sono le zampettio delle sillabe
sull’inverno frusciante dei fogli
stanno così come stanno
né fuoco né cenere
fra l’ultima parola detta
e la prima nuova da dire
è lì che abitiamo

*

Le poche carte che ho con me
piegato sulle pagine da scrivere
con una calma assira da scriba
senz’altra direzione che il dolore,
un giardino che filiazioni
e filiazioni, un’umanità tutta intera
ha finito per attraversare;
le poche carte, e questi occhi
lo specchio immobile dell’iride
screziato dell’ombra delle foglie;
stare così, senza distanza
tra il tempo e il tempo
la mano e la mano
senza memoria
come una disperazione
o un’infanzia.

*

La neve che sei stato

Chiusaforte è le tue mani rovinate,
le sue case in fila lungo una strada che conduce al nord
e le pietre e gli azzurri, sottilissimi dopo che è nevicato
Chiusaforte è tutti ritorni che mi allontanano
mentre nevica il tempo sulla neve che sei stato
sui passi contati e poi coperti dal bianco
e c’è un piangere nascosto nel celeste
nelle pigne ai piedi degli abeti
nel silenzio che sgretola gli animi e qualche volta
ci spinge in alto, in alto
dove ci sono parole che erano sassi
dette di punto in bianco, nel freddo
lasciate alla confidenza delle nuvole;

ho fatto un buon tratto di strada, ormai,
e sono stato tuo figlio e sono stato tuo padre
e conosco i gesti che non si spezzano davanti al dolore
l’incandescenza dell’istante che li ha generati
la tua mano sulla mia fronte
il palmo della mia sul dorso della tua
che non so come, non so dove
mi portano ancora con te.

*

Una rosa

Che cos’è quella rosa sul tavolo
ferma nella sua freschezza come un lago alpino
alta nel suo silenzio più del fragore
dei quotidiani affastellati lì accanto
più del disordine dei notiziari,
la concitazione delle chiavi di casa.
Che cos’è questa parola verdeggiante d’amore
se non il suolo dove lasciarsi cadere
la penombra di un bosco da attraversare m
e la mano che si apre e prende la mia
e mi conduce a me.

*

Da lontano

Qualche volta, piano piano, quando la notte
si raccoglie sulle nostre fronti e si riempie di silenzio
e non c’è più posto per le parole
e a poco a poco ci si raddensa una dolcezza intorno
come una perla intorno al singolo grano di sabbia,
una lettera alla volta pronunciamo un nome amato
per comporre la sua figura; allora la notte diventa cielo
nella nostra bocca, e il nome amato un pane caldo, spezzato.

*

Due

Lascio la camera com’era quando era nei tuoi occhi,
incontrarti è il sapore che trattengo nel sorso del caffè.

Tra il piacere e quel che resta del piacere
il mio corpo sta come un posto dove si piange
perché non c’è nessuno.

Un giorno se settembre era limpido e ventoso
il silenzio ammutoliva, la terra tornava al cielo.

*

Scrivere come sai dimenticare,
scrivere e dimenticare.

Tenere un mondo intero sul palmo
e dopo soffiare.




Nota bio/bibliografica di Pierluigi Cappello su Wikipedia.org

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