“Tu dove sei, mi chiedo, dove in questa luce incerta”: Daniele Gigli

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Da Fuoco unanime (Joker, 2016)


Cade, s’inabissa l’occidente

Cade, s’inabissa l’occidente,
si dissolve, muore sotto i cieli alti di pietra-luce in ore cave.
Sull’acqua-marmo allucinano gli occhi,
senza punto si moltiplica lo sguardo,
cede l’orizzonte senza tempo.

Così si muore:
assassinati in preghiera o nei palazzi a vetro, dagli amici.
Figliano giudizi, rivoluzioni inerti,
nel fuoco bruciano bandiere, cadono le croci.

*

Campo volo

Dove ogni maggio sorgono le messi
e le baracche in legno a croce serbano vita tra i silos.
Dove il vespro incendia verso sera e immenso
il sole fuoco-arancio stupra i campi
s’alza, si distende esausta, si rialza nella brezza
la voce distratta degli uomini.

Lì, dove l’aria diaccia del mattino incrocia i volti dei passanti,
dove uno squarcio taglia cielo e terra all’orizzonte,
lì levano sagome tra terra e cielo gli uomini
– di tutti i secoli, negli anni e nelle latitudini –
legano alla forma un senso. L’opera si erige passo passo.

Così passiamo i giorni a mendicare amore,
l’amore acuminato che non chiede e dona,
promessa senza debito, senza trattenimento.
«Alzati, rivestiti di luce» dice nello squarcio d’ombra.
S’alzano i vapori dalla terra smossa, tra le maglie di rete e la ghiaia.

*

Transpadana

Le rocce, il fiume a schianto sulle rive, il temporale squarcia l’aria ferma.
Restiamo qui, chi in questo luogo teso, chi lontano,
a specchio in questo cuore selva,
brani di memoria avversi al vuoto.

Tu dove sei, mi chiedo, dove in questa luce incerta:
ancora qui, ancora nel mio cuore o fuori, inanimata, persa?

Di questa luce prega, prega che ne resti:
sui campi stesi a volo di rotaia, i bracci del torrente, il greto,
il margine di riva e di risaia.

*

Del mondo opaco, del mondo conosciuto.
«Non ti farai un’immagine, non griderai
per terra e cielo, non vomiterai
le tue sentenze storte ed impazienti».
Stortura molta, molta l’impazienza
e cielo e terra e sottoterra
(ma non ci fosse tutto questo freddo).
Così, nessuna immagine. Ma il mondo si condensa,
si sprigiona in forme.
«Nessuna immagine.
Ché non sarà tua pena alzare il cielo,
ma grazia mia piegarlo».

*

Luce di schianto, luce di diamante,
luce che scheggia a sbalzo sui gradoni.

Luce d’agosto,
quando impannato nei vestiti il corpo freme e suda,
spasima distratto senza pace.
Tempo che si abbandona al tempo
e ossa che gracchiano, si stancano,
sciorinano importune il loro campionario
di fatica e desiderio:

«Avremo
un corpo luminoso un giorno e carne viva,
un amore più perfetto».

Il tempo si abbandona al tempo.

Conserva madre dolce questi corpi,
conserva questa pena, falla salva.
Prega per noi, per questi cuori sfarinati, prega
mentre schianta, schianta e vive, schianta e grida
la sua gloria questa luce, questo mondo.





Daniele Gigli (Torino, 1978) è archivista documentalista e scrittore in versi. Studioso di T.S. Eliot, a cui ha dedicato la monografia T.S. Eliot. Nel fuoco del conoscere (Ares, 2021), ha pubblicato quattro librini di poesie: Fisiognomica (2003), Presenze (2008), Fuoco unanime (2015, 2016) e Di odore e di generazione (2019).



Fotografia in copertina di Claudia Castanò.

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