Commento a margine (XI) – Gabriella Grasso

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Da Sciott (puntoacapo, 2024, prefazione di Pietro Russo)


Sciott
(La piazza)

Sciott era il nome più bello
palude all’incrocio
delle vie delle Esperidi
e pantano di tutte le vite
baldanzose o malmesse
Era piazza, bordello, agorà
chianu
approdo di tutte le navi
senza rotta nel ronzio
della notte
Se la osservi
da una qualsiasi delle sue finestre
questa piazza rotonda e quadrata
quasi inganno di strada
che da vicolo diventa estuario
capirai perché per tutti noi è stata
culla e guado
a un passaggio impervio di fango
che ribolle di immagini e fiato

*

Gli innamorati

Al centro esatto
della rosa dei venti
al convoglio
di tutti i possibili raggi
di una Sciott circolare

incontriamoci lì questa notte

perché noi non apparteniamo
a nessuna delle direzioni
né all’avversa, né alla tenue sodale
perché noi siamo alberi di nessuna
nave

solo intreccio di sagome e rami
in un serto lunare

*

Il forno

Tre sorelle
una impasta una inforna una serve
una ha ritmo e vigore
una governa il fuoco
una riesce a sorridere a sera
quando l’ultimo cliente stanco
sgattaiola avanti al bancone
per ricevere il suo sacrosanto
pezzetto di pane

Il profumo che inonda la piazza
sa calmarci la fame
prima ancora di avere
masticato qualcosa

Ce ne andremo lontano
ma ogni giorno
al medesimo orario
sembrerà di avvertirlo

e addolcire lo spasmo
di uno stomaco vano

*

I bambini

Gira gira mondo
lento nella linea
curva delle braccia
dentro un cerchio cretto
di mani sfuggenti
timide alla presa
con lo sguardo al cielo
e i piedini svelti
a evitare il suolo

leviga le sponde
di un’immensa piazza
lieve dondolìo
di una cantilena
tonda come i bimbi
chiusa come vita
che basta a se stessa

nel suo movimento
ferma luna piena

*

A buriedda
(la brezza)

A un dio che respirava quieto
dietro le pareti delle case

alito che smuoveva piano
capelli e moscerini dalla fronte
nelle ore calde, a un tratto,
in strada o nel recinto
bacato della piazza

e che più volte ci ha cullato e ci ha gettato
dalla cuna

a un Dio che aveva tanti nomi
e altrettanti clamori per le vie

abbiamo dedicato
un nembo di pensiero senza voce
senza formule terse
con una forma di gemma
che sentivamo spuntare dentro il petto
e in qualche modo profumava l’aria




Sospendere il tempo interno al tempo pensato al centro della piazza di un piccolo paese siciliano, Linguaglossa. Fermarsi. Lasciare che siano solo gli occhi a indicarne il suono quale epicentro di una storia che attraversa, coi suoi abbagli quadrati, l’antico sintomo di una forma che tocca e intona il cerchio magico del suo nome: Sciott. Cosicché: Se la osservi / da una qualsiasi delle sue finestre / questa piazza rotonda e quadrata / quasi inganno di strada ti porta con sé, ti ammalia di cunti e di scirocco, ti invita a varcare il silenzio di quell’ora meridiana accordata dal sole sulla bocca dei vicoli tutt’intorno odorosi di pane caldo e del rosso vivo dei suoi pomodori addormentati tra le braccia delle madie. Scenografica introspezione di un luogo che ribolle di immagini e fiato, il fiato di idda, ‘u ciatu dell’Etna che di nero avvolge i muri le porte di legno delle botteghe, e dei sogni di Inshallah,liberando in conati di parto perenne il segreto violato di una terra sempre in attesa e coi piedi discinti sulla soglia di un ordito quotidiano, di una palude ricovero / di chi è ormai stanco / e s’incurva sotto il peso / di tappeti che raccontano l’inquadratura di una vita e di tutte le altre schiuse dai bordi di questa piazza ricamata con raffinata tessitura dalla voce di Gabriella Grasso, voce che ci consegna la miniatura di un microcosmo che ha forza trainante nel suo sguardo, nel segno etico ed estetico di una espressione poetica germogliata dentro al corpo metrico del ricordo. Ed è nel ricordo che scivola in mezzo al petto quella sottile e appena colta brezza soffiata, quasi di nascosto, forse anche dalla luna in ombra tra gli alberi, come perla d’acqua chiamata sulla fronte delle fimmini, come il profumo che hanno le parole rimaste sulla mensola brecciata della stanza insonne con il cuore di Gesù dagli occhi buoni / la foto dei due gatti sul balcone; poi, petali di rosa a conservare la strada per ritornare a casa.





Gabriella Grasso (Catania 1971) vive ad Acireale e insegna lettere. Si è occupata di linguistica della LIS, Lingua Italiana dei Segni (Zanichelli 1998, Del Cerro 1999), di cui è interprete. Scrive per diversi spazi letterari, nazionali e internazionali. La sua opera prima, Quale confine, pubblicata nel dicembre 2019 per le Edizioni Kolibris (Ferrara), ha ricevuto un attestato di merito al Premio Lorenzo Montano 2020 e il premio della critica nell’edizione 2020 dell’Etnabook. Un suo inedito ha vinto il primo premio al Sonetto d’argento-Premio Jacopo da Lentini 2020. Nel novembre del 2021 è uscito il suo secondo libro di poesie, Il Generale Inverno (Il Convivio, Castiglione di Sicilia). La poesia Zoom (i turisti), contenuta in questo libro, ha meritato una segnalazione come inedito nella XXXIV edizione del Premio Lorenzo Montano. Suoi testi sono stati inclusi in antologie e tradotti in inglese (trad. di Gray Sutherland, di Ana Ilievska, di Chiara De Luca), in spagnolo (trad. di Emilio Paz, di Antonio Nazaro) e in cinese (trad. di Yin Xiaoyuan). In Secolo Donna 2021 (Macabor 2021) sono presenti sue poesie e un contributo critico sulla sua poetica, a cura di Davide Zizza. Alcuni suoi testi, tradotti in inglese da Ana Ilievska, fanno parte di Guide to Contemporary Sicilian Poetry: an Anthology, a cura della Stanford University (Italica Press 2023).







Foto in copertina di Daìta Martinez

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