Movimenti (Les Flâneurs Edizioni, 2025) di Emanuela Mannino. Recensione a cura di Franca Alaimo
Una delle più rilevanti caratteristiche della poesia di Emanuela Mannino è di certo la qualità musicale del lessico, che va oltre l’uso di rime perfette o imperfette e le molte figure retoriche di suono per assumere la parvenza di un gioco a rimpiattino tra sillabe e lemmi – quasi una sorta d’eco prolungata- che talvolta sembra oltrepassare il significato a favore del significante.
Ecco un esempio (pag. 98) tra i molti possibili: Brucia il silenzio / in questa brace di mare / che brulica di vento e di sale, versi in cui, al di là del significato che a prima vista sfugge, il lettore è attratto da quel riconcorrersi di sillabe: bru, bra, bru, che in qualche modo richiama il tono della filastrocca, uno dei generi a cui la Mannino attinge ma destinandolo ad altra profondità e fruizione
In questa direzione è possibile rintracciare un’inclinazione della poeta ad uno sperimentalismo prossimo ai dadaisti, sebbene quest’ultimi, volutamente stravaganti e inclini all’umorismo, si proponessero di attuare attraverso il linguaggio una rottura con la letteratura del passato, con la sua incancrenita austerità.
Un’altra caratteristica del vocabolario della poeta è la sua concretezza, direi quasi la sua fisicità, che determina accostamenti talmente inusuali da stravolgere la comune percezione del reale: infatti ci si imbatte spesso in una serie di sintagmi che mettono insieme possibile ed impossibile, quali la spina dorsale dei sogni, o nel buio tentacolo, e ancora: basolati d’onde, rami del tempo, bastoni di cielo cupo e così via. Ora, al di là dell’efficacia immaginativa e dell’effetto-sorpresa, è altamente significativo che anche questa pecularità si incastri, nella memoria dell’infanzia, quando il linguaggio attinge alla possibilità del reale, mescolando insieme l’alto e il basso, il concreto e l’astratto, la verità e la fantasia; quando, ed è una cosa di basilare importanza per comprendere certe meccanismi verbali dell’autrice, il corpo costituisce il veicolo più importante di approvazione o mortificazione.
Inoltre questa vitalità espressiva, al di là dei rimandi sillabici e dei giochi combinatori, passa anche attraverso una postura filosofica che definirei probabilistica, in cui la verità viene cercata attraverso un’analisi degli opposti, nell’intento, per altro continuamente insidiato, di pervenire ad una dimensione sovrareale di pacificazione. Di fatto a predominare è l’osservazione dei contrasti presenti nella dimensione reale e in quella interiore, in una continua oscillazione tra stupore e paura, che, come scrive David La Mantia, mostrano “una fragilità inquieta”. Ne nasce un drama psicologico alla maniera medioevale, confortato soltanto dai valori in cui l’autrice comunque continua a credere.
Così, ai continui squarci del pensiero e del cuore, resistono certe figure o simboli di salvezza. Più di una volta, per esempio, ci si imbatte nell’aggettivo bianco (“con la primavera nel petto / ed un fiore bianco / sulla soglia del possibile”), che racconta l’aspirazione ad un’innocenza di vita e spirito propria dell’infanzia, età che segna incomparabilmente, a mio parere, la voce di tutti i poeti, come quella in cui il nucleo intatto del cuore è stato lasciato libero di fiorire o è stato, per qualche motivo offeso, sciupato. Ed ecco il trauma infantile farsi icona in questi tenerissimi versi: E il buio mi avvolse. / Ed io franai / con tutte le piccole rose / ancora sulla bocca.
Pensare ad Alejandra Pizarnik, a cui pure accenna il prefatore La Mantia, mentre si leggono i testi di Emanuela Mannino, non significa istituire un paragone – impossibile per impasto linguistico e resa stilistica – fra le due poete, ma rintracciare nell’una e nell’altra una figura della psiche che muove in modo simile il loro doloroso percorso interiore.
L’una e l’altra, infatti, sembrano nutrire il desiderio di continuare il gioco dell’Alice di Lewis Carrol: rimanere dentro un tessuto immaginifico e fiabesco; e scoprirsi affrante dalla nostalgia di un’impossibile castità infantile. E, accanto alla memoria, un’altra donna, come scrive Enrique Molina di Alejandra, «avanza verso di lei, ovunque, in ogni istante della sua esistenza terrena, interrogandola con le domande più laceranti, proponendole incessantemente i suoi stessi enigmi, il mistero di ogni amore e di ogni enigma». Questa donna – aggiungo io – ha nei versi della Mannino il volto della madre, anch’esso ambiguo, sospeso tra tenerezza e ombre, tra intesa e ostilità, nel segno di una relazione difficile che muove la memoria dei sentimenti in direzioni opposte.
È da questa contraddizione archetipica che si origina l’altra coppia oppositiva che mette in campo la paura della sconfitta e il desiderio della vittoria o auto-affermazione che dal piano strettamente personale si proietta anche in quello della scrittura: scrivere, infatti, rappresenta l’altro corpo, quello poetico, che può vantare su quello fisico il bene della vittoria sulla sconfitta che tocca ad ogni uomo: quella morte che spazza via dal mondo terreno il ricordo di essere stati.
È palese, insomma, quanto la Mannino, nell’usare le parole allo scopo di essere parlata, si affidi ad esse per tessere insieme a sé stessa quell’altra di sé che possa scavalcare il tempo e la morte.
Già nel libro a due voci Erotanasie (l’altro autore è Giannino Balbis) il tema della Morte e della Letteratura si affontano in nome di una terza entità che è l’Amore, come sentimento umano e insieme come tensione alla Perfezione. Anche in Movimenti soprattutto negli ultimi testi, il motivo dell’Amore sembra aprire spiragli di luce e di speranza che si intrecciano in alcuni testi, come quello a pagina 124 che richiama l’atmosfera lieta del Cantico dei Cantici.
Il nuovo mantra di Emanuela è: “M’inchino al nulla / con una stella in mano / ed una spada sguainata nel petto”: con questi tre versi la poeta traccia il suo nuovo cammino: il nulla del reale viene illuminato da una stella – richiamo alla luce e all’alba che seguirà – custodita da una nuova consapevolezza della forza del proprio io (la spada sguainata simboleggia coraggio e disponibilità alla lotta). Quest’ultima si manifesta nell’ambito della scrittura (specie nell’ultima sezione del libro, la quinta) in una espressività gnomica, sottolineata da una serie di imperativi rivolti all’altro come a sé stessa: spera, accadi, apri la roccia, sboccia.
È arrivato il tempo dell’accettazione, che non equivale a rassegnazione, ma al raggiungimento di quella saggezza che sa dare il giusto peso alle cose tutte, che fa capire all’autrice che per nascere sempre nuovi, bisogna accogliere tutte le espressioni della vita, frantumarsi e rinascere, poiché “nessuno si salva mai intero”.
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Bugia
Il portone è chiuso.
Anche la pioggia, chiusa.
La soglia serba le orme del fato,
le ombre su per le scale
a casa, all’ombra di tutto.
Un tavolo
una tazza colma di nuvole.
Seduti, al cospetto d’una lampada
quando dentro è troppo buio.
Questa luce – questa immensa bugia.
Poi
“Poi non ti vedrò
è questo ciò che voglio”.
Ciò che un uomo
senza luce – può
il buio.
Ed il buio m’avvolse.
Ed io franai
con tutte le piccole rose
ancora sulla bocca.
Per la casa
Brucia il silenzio
in questa brace di mare
che brulica di vento e di sale.
Lo sguardo
sui tarocchi dell’orizzonte
intarsia le attese sognanti.
La luce sfila tegole di sogni
per la casa – che sempre
mi aspetta.
Soffermati
Soffermati,
in questo tempo randagio.
Chiedimi le domande
che non hanno risposta.
Assaggia il mio cielo vicino alla mia bocca.
Tocca.
Toccami
alla luce del buio
ritorna in te
stravolgiti di respiri
ritorna in me.
Resta
Meno di niente, un grano di cielo
tutto il tuo affanno
uno strapiombo di mistero.
Scruta bene
tra le correnti del tempo
sussurrano sentieri
che portano il tuo nome
involali al tuo respiro
involati alle quiete ombre.
La tua mano vuole il tuo volto.
Senti bene
lo scricchiolìo del silenzio
alza la polvere
gronda la tempesta
frantumati – ma resta.
Nessuno si salva mai
intero.
Emanuela Mannino (Palermo, 1976) esordisce per la poesia con Sole Ribelle, Versi di bellezza e di resistenza (Ensemble, 2020). Nel 2022 pubblica la raccolta poetica Eppure (Controluna). Inserita nell’Almanacco Secolo Donna 2023 (Macabor), nel 2023 pubblica Erotanasie – Fantasie d’amore e morte – poema a due voci con Giannino Balbis (Macabor). Nel 2025 per Les Flâneurs Edizioni (Collana Icone) pubblica Movimenti. La silloge viene candidata- alla Terza Edizione del Premio Nazionale di Poesia “Calabria – Veneto” 2025 dalla Giuria omonima. Una sua poesia A piedi nudi fa parte del disco Old folk for new poets (New model label, 2021). Sue poesie sono presenti in antologie, tra cui l’antologia Negli occhi bambini – Poesie e voci per ritrovare il mondo dell’infanzia (Scrivere Poesia Edizioni, 2022). Per la narrativa ha pubblicato un micro-romanzo nel collettivo: Tina-Storie della Grande Estinzione, (Aguaplano, 2020); un racconto in Congiunti – Racconti della pandemia (Ensemble, 2020); un racconto nell’antologia Cartoline dalla Sicilia (L’Erudita, 2023); una fiaba natalizia nell’antologia Un magico e prezioso Natale. Piccoli racconti per bambini di tutto il mondo (Macabor, 2023). Un suo racconto fa parte dell’Antologia Tagli di Luce. La violenza sulle donne raccontata dalle donne: tra femminicidi e storie di rinascita (Balzano Editore, 2025). Scrive per il Lit-Blog Le Finestre De L’irregolare, per Circolare Poesia, e fa parte della Comunità Versipelle.
