Commento a margine (XI): Luigi Finucci

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Luigi Finucci, La prima notte al mondo (Seri Editore, 2024, prefazione di Silvia Secco)

E se un giorno, trovassimo
un pianeta abitabile
la gentilezza sarebbe l’unica
cosa per dismettere la solitudine.

Applicare una carezza
alle forme di rinascita
sconosciute.

*

Della gentilezza ho scorto
quattro gradini sotto l’uscio
di una via nascosta. Si è chinata
così in basso da fondersi
con una ciotola colma d’acqua.
Solo un cane si è presentato
ad accogliere il gesto: la vita
è sembrata così lenta
da non ricordare
l’incessante noia
della notte e del giorno.

*

L’origine è fatta di resti.
Gli alberi sono bassi, si chinano.
Il legno profuma di Babilonia
anche a chilometri. E
i bambini usano i rami
per arrampicarsi a vedere le stelle.

Capire il senso della passione,
distendersi sotto il buio
dev’essere stato uno sconcerto.
Testimoni anacoreti di una bellezza
sconosciuta.

*

Gli schermi raccontano
che ai Poli la terra finisce.
Serve molta pazienza
per non arrabbiarsi.
Nella lontananza inizia
il legame con le nuvole.
Tutti scappano da sé stessi.
Se non fosse che il lago
dà una prospettiva diversa
avrei creduto di essere
alla fine del mondo.
Così ho deciso all’istante
di frantumare lo spazio
tra me e il cielo.

*

Sto uscendo allo scoperto,
mia madre vede la mia testa
mio padre non riesce a svenire.
Le possibilità si riducono
qui nel grande freddo
ma ancora posso diventare
chiunque.
Finché il mio pianto
sbatterà con l’atmosfera
e l’ossigeno entrerà nei
polmoni. Una strana cosa
è il nascere.






Una parabola circolare sul limitare infinito nell’infinito respiro del mondo è la prima notte che agli occhi si svela nel porgersi bellezza di rami tra le stelle lambite da uno spazio significante l’attesa di una mai ultima gentilezza cercata e voltata dentro l’oscillazione silenziosa di tutti gli sfiori quotidiani avvenuti nel bianco splendore di un pianto bambino. Minute consonanze di una genesi espressiva del Verbo che le nomina tra la luce e il buio nel grembo di una cosmologia visionaria; eppure, così concreta da decifrarsi in un tempo metamòrfico e indicativo quale accordo a un tornare alla primigenia veduta del cosmo che al sé interpone la misura interna di una solitudine prossima al vuoto ma capace di applicare una carezza / alle forme di rinascita / sconosciute. Forse perché sconosciuta è la sintassi che della vita porta le sembianze / di una cellula, di una separazione taciuta nel dolore, di un pensabile trattenersi senza definirsi dentro una umanità avvertibile di luce e dalla quale ogni distanza prende forma nell’impercettibile geometria vangata tra nascita e cielo, tesa, per appartenenza, alla polvere stellare che – scrive Luigi Finucci – vagabonda ed ebbra si raccoglie / alla costruzione di un amore, come a dirsi preghiera: disarmato mistero custode di una tenerezza che da sotto il buio l’acqua quieta.




Luigi Finucci è nato a Fermo il 15 maggio 1984. Dopo aver vissuto fino alla maturità a Montegiorgio, ha vissuto tra Urbino e Firenze per poi tornare a Fermo, dove attualmente risiede. Ha pubblicato due libri di poesia: Le prime volte non c’era stanchezza (Eretica edizioni – 2016) e Il Canto dell’Attesa (Ladolfi Editore – 2018). È presente con suoi testi in vari siti, tra cui Atelier, Poesia del nostro tempo, L’Estroverso, Margutte, AlmaPoesia, Poetarum Silva, Poeti del Parco, NiedernGasse, Poesia Ultracontemporanea, Larosainpiù, Inverso – Giornale di Poesia e L’altrove – Appunti di poesia. È stato vincitore della XXV edizione del concorso “Poesia di Strada”. Collabora con alcune riviste online e alcune sue poesie sono state tradotte in diverse lingue, tra cui il rumeno e lo spagnolo. Ha poi pubblicato anche tre libri per bambini, in rima, per la Giaconi Editore: L’aspirante Astronauta nel 2015, Il paese degli Artigiani nel 2018 e Il Mondo di Sotto nel 2021 e un albo illustrato poetico dal titolo CAMMINO – sulle orme di San Francesco nel 2022.









Fotografia in copertina di Manuela Dimartino