Di seguito potete leggere degli inediti di Olivia Balzar, scrittrice, attrice, organizzatrice di eventi e speaker radiofonica. Nasce in Brasile da genitori Italiani il giorno di San Patrizio. Il suo racconto “Le cose buone fanno male”, contenuto nell’antologia “Streghe Postmoderne”, curata da Ilaria Palomba per AlterEgo, è diventato uno spettacolo teatrale per la regia di Mariaelena Masetti Zannini. Ha pubblicato il racconto “Casa di ringhiera” nell’antologia “Nove Strati di Buio” (Echos Edizioni, 2017), i racconti “La casa nasconde ma non ruba” e “Fame” per due antologie a tema Yokai per Bakemono Lab. “Di ogni mio corpo” (Edizioni Ensemble, 2022) è la sua ultima silloge poetica.
Attualmente organizza e presenta il “Salotto Letterario di Olivia Balzar” al Lettere Caffé, punto di riferimento culturale nel cuore di Trastevere e sta scrivendo il suo prossimo libro.
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Vivo entro i confini di una terra ai margini con l’assoluto.
C’è un po’ di Damasco,
blu di Prussia
e il profumo dei mercati di spezie.
Vedo tutto il mondo negli occhi di un bambino che mi fissa,
incrociando il mio cammino.
Lui conosce la strada che devo percorrere,
lui conosce il sentiero lastricato di conchiglie e frammenti di ossa,
ma non mi dirà come trovarlo.
Non è ancora tempo.
La donna al fiume mi ha detto di attendere.
Che vengano pure a prenderci le creature alate,
non c’è più niente da dire o fare.
Dalle crepe sgorga il sangue dei genocidi.
Lacrime di fenice mutano in serpenti.
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Non parlare coi morti,
mi dice una donna con la mano che trema
e gli occhi di chi ha visto l’eterno.
Ogni giorno sbircia nelle case degli altri.
Oltre le finestre va in scena la vita,
spicchi di cielo tra i vicoli scuri
e le rondini che trovano casa nel buio.
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L’ultimo treno della metropolitana verso casa.
La realtà si intreccia con infinite possibilità e pensieri che sono falene.
Ho imparato il linguaggio delle cose perdute.
Il ricordo sconfina nel sacro.
*
Danzare sui bordi
al limitare dell’abisso,
il corpo esile di una ninfa,
il sogno fragile di una musa.
La superficie si lacera.
Sfuggi all’oblio,
genera mostri,
gioca coi ferri arrugginiti del tempo.
Fai tesoro degli strappi.
Il punto di rottura è catarsi.
Esserci nei frammenti,
sorpassare il limite,
infrangere il reale.
L’esistere incorporeo dona infinite vite.
Vivi nel respiro dell’universo.
Sii grata all’eterno divenire.
*
Osservo muta le vite degli altri
e tutto ciò che sembra perfetto.
Dai vetri appannati si scorge una luce.
Ti ho raccontato del buio
e di tutti gli sbagli commessi?
L’odio altrui rende opachi e scava.
Tu non hai paura?
Di cosa? Mi chiedi.
Di tutta questa vita che pesa addosso
e frana
e dissipa.
Vorrei essere tutto ciò che conta
Ma sono un porto che accoglie fantasmi
e nutre chimere.
*
I sopravvissuti si riconoscono:
seguono la mappa degli astri
e vivono in testa all’albero maestro.
Laggiù in locanda
un marinaio si gioca l’anima a carte
per una bottiglia di rum.
Io vorrei solo risvegliare i morti.
Foto di copertina a cura di Pietro Romano
