La raccolta di Giuseppe Semeraro, Da qui a una stella, si compone di un omonimo corpus poetico, esteso e compatto, a cui seguono due sezioni brevi, Toccando il silenzio e Poesie convalescenti, connesse alla prima parte per tematiche fondative, ossia la riflessione sul corpo quale mezzo per il ben-vivere e lasciapassare per l’altrove. L’opera, pubblicata nel 2021 da AnimaMundi, si conclude con Quarantena delirium, un monologo per il teatro in prosa poetica, ugualmente coerente con il resto della silloge, con il quale Giuseppe Semeraro richiama anche il suo impegno di attore e autore teatrale, oltre che di poeta. I titoli delle sezioni appena nominate, e l’anno di uscita del libro, fanno presto intendere che l’opera sia legata al periodo storico di pubblicazione, quel biennio doloroso della Pandemia che è, forse, ancora una fase non del tutto elaborata sul piano collettivo. Semeraro, da artista solido e ispirato, sin dal principio sembra aver voluto offrire il suo contributo alla riflessione tramite il mezzo poetico, esplorando quel vissuto individuale e comunitario a partire dal ruolo centrale del corpo.
Al di là dei titoli delle ultime sezioni del libro, sono assenti rimandi espliciti al Covid19, l’autore si tiene lontano dalla retorica e dal cronachismo. L’io poetico, partendo dalla mera osservazione del perfetto, quanto delicato, ingranaggio biologico umano, eleva presto il suo punto di vista sul senso della vita stessa, su come il corpo sia lo strumento a disposizione dell’uomo per esperire, per amare ed entrare in relazione con altri, per cercare ed esprimere la propria interiorità, per imparare a leggere ferite e cicatrici, per dare voce e senso a una storia personale e corale.
Il corpo, nei versi di Semeraro, non è mai solo un involucro esteriore di fibre, tessuti, ossa, è materia quanto luogo sacro abitato dal divino, non in senso meramente fideistico. L’incarnazione, infatti, non può prescindere dal dubbio, dalla ribellione, dalle richieste di aiuto, dalla necessità di inciampare per trovare un proprio passo (“A Dio abbiamo chiesto tutto/perché solo nel suo silenzio/potevamo nascondere ogni nostro dubbio.”).
Nella raccolta si mostrano, in un riuscito equilibrio, concretezza e trascendenza, carnalità e spirito, materia e ascesi, in dialogo nelle poesie e fin dal sottotitolo della raccolta (“l’infinito scritto sul corpo”). L’autore, nel suo lavoro introspettivo, coglie la necessità di nutrirsi non solo sul piano fisico ma anche di alimentare sogni, speranze e sentimenti, di elevarsi coltivando le aspirazioni, la fede in qualcosa. Mentre si vacilla tra la paura dell’altezza e della terra, Semeraro indica una via, quella della fiducia nel percorso (“Non preoccuparti troppo dei tuoi sogni/non aggrapparti ai tuoi incubi”), e quella delle radici o, a seconda delle prospettive, del principio di tutto (“C’è un coraggio che non sappiamo d’avere/chiuso nello scrigno dell’origine”).
Dalla raccolta emerge la negazione del lasciarsi vivere, del quotidiano affrontato senza intenzione né consapevolezza, senza passione, le pagine sono intrise del rifiuto della banalità del male della Arendt, ossia della mediocrità di una vita arresa, del conformismo che trae origine dalla vigliaccheria, dal nascondersi motivato dalla rinuncia (“Spesso si muore/in una circostanza banale/e si vive a volte/sempre per la stessa circostanza banale”). L’autore, poesia dopo poesia, tesse un canto amoroso, paterno, una guida chicco dopo chicco di grano, che conduce al nutrimento e alla forza di vivere. In un certo senso, Da qui a una stella è una raccolta maieutica e pedagogica, probabilmente non nata con tale intento ma, alla fine del viaggio poetico, l’esito è un diario lirico di saggezza semplice, terrena, priva di dogmatismo e di velleità di insegnamento, un percorso di scavo interiore ed esteriore per giungere al pieno rispetto di sé, della vita, dell’umanità.
Il rapporto con l’inevitabile dolore, con la perdita, il fallimento, i tradimenti, è un rapporto sapienziale, espresso attraverso metafore trasparenti e “umili” (“Le lacrime servono ad alleviare qualcosa di troppo/a superare un limite, a varcare una frontiera/a guardare dal buco di una ferita/o molto più semplicemente/a lavare via lo sporco dagli occhi.”). La lingua usata trova nella semplicità la sua ragion d’essere, l’autore desidera farsi tramite diretto, nitido, per accompagnare, confortare, guidare senza filtri e fraintendimenti.
Come detto, la poesia di Semeraro è tanto fatta di carne e ossa che di elevazione, partendo dall’osservazione interiore e del reale il poeta trae fiducia nell’incontro delle anime, nella bellezza che è la vera destinazione. La deriva disgregativa della contemporaneità, la separazione generata dall’ego, rendono necessaria una reazione che parta dalla riscoperta di relazioni profonde con sé stessi e con gli altri. I moniti consegnati da Semeraro in più testi, fanno di Da qui a una stella una raccolta con un seme sociale significativo (“ognuno si arrangia come può/col suo baluardo malfermo/tutti collegati tra noi/in un’abbuffata sterile/mangiando senza fame/senza neanche un rito per incontrarci/per riconoscerci all’appuntamento del caso”). Ed è proprio nella riscoperta dell’umanesimo, nella prossimità e nell’accoglienza dell’altro non distante da sé, nella riscoperta della necessità reciproca, nel sentirsi parte di un tutto, che Giuseppe Semeraro vede la possibilità per ogni vita di splendere e illuminare.

Poesie dalla raccolta da qui a una stella – l’infinito scritto sul corpo (AnimaMundi, 2021):
Grazie amico per avermi pensato
c’è sollievo a essere pensati,
hai raccolto da terra
la mia piuma caduta
tolto l’ascia dal legno marcio.
Ti prego pensami ancora
l’inferno non ha bisogno di fede
non ha bisogno di devozione
né di credere a qualche croce.
L’unica fuga adesso
è finire nei tuoi pensieri.
Slegami dalla materia
da questa credenza sbrigativa della carne,
pensami, che una parte di me cade,
cresce altrove, diventa immortale,
fammi correre sulla spiaggia
fammi rimbalzare lontano
come un sasso lanciato a pelo d’acqua.
*
Ho provato gioia entrando nel mare gelido di febbraio
quando sono nati i figli e hanno fatto il primo passo
quando gli storni si sono alzati in cielo
e ho sentito in testa il battito di tutte le loro ali
quando da piccolo stavo sull’albero
e ululavo come un lupo
quando facevo un gol
e lo raccontavo per giorni
quando facevamo l’amore in rue de L’Angevin a Parigi
quando ci siamo persi nella gola di un fiume
di notte in Aspromonte
e abbiamo acceso il fuoco sotto le stelle
quando finalmente ho superato l’esame di latino
quando all’alba l’autobus mi ha lasciato a Goreme
e si vedevano tutte le valli della Cappadocia
quando a Capo Verde abbiamo attraversato
un vulcano spento
quando per ore in Brasile ci siamo rotolati
nelle onde dell’Oceano.
Ho provato gioia per ogni fuoco acceso,
per ogni piatto preparato, per ogni libro finito,
per ogni abbraccio del pubblico
per ogni parola messa al posto giusto.
Ho gioito ogni giorno che la vita
mi ha dato la fortuna del suo ripetersi
e ogni giorno l’occasione di rischiare per lei.
*
Il regno della bocca
lì dove scende il buio
è una soglia affollata
dove s’incontrano voci,
lì un soffio di vita
diventa lingua
in quel regno le parole
sono fatte di respiro
smettono di pesare.
*
Vorrei seguire una fila di formiche
e scivolare in un abisso minuscolo
chiudermi nel bozzolo della terra
e gocciolare giù in qualche crepa
affondare l’unghia in ere sepolte
nascondermi in qualche tesoro
sigillare il mio respiro nella pietra
fossilizzare l’anima in una spirale
ringraziare tutta la materia madre.
*
Torneremo pietre
di nuovo in carica
nel regno dei fossili
incastrati nelle vene della terra
s’avvinghieranno a noi le radici.
Nella bocca del verme
diventeremo finalmente
ciò che per tutta la vita
chiamammo all’infinito.
Sezione Toccando il silenzio:
Tra la realtà e l’immaginazione
tra i vivi e i morti
tra l’istinto e la mano
tra noi e Dio
tra la parola e la sua menzogna
tra noi e la bellezza
tra quello che accade e le sue conseguenze.
Giuseppe Semeraro è attore, regista e poeta. Ha lavorato come attore con Il teatro della Valdoca, in diversi spettacoli con la regia di Danio Manfredini e preso parte allo spettacolo Frame con la regia di Alessandro Serra. Nel 2007 è tra i fondatori della compagnia Principio Attivo Teatro dirigendo come regista Storia di un uomo e della sua ombra (finalista Scenario e Premio Eolo 2009), La bicicletta Rossa (Premio Eolo 2013) e Opera Nazionale Combattenti (finalista in-box 2016). Nel 2015 realizza lo spettacolo Digiunando davanti al mare, ispirato alla figura di Danilo Dolci. È autore di diversi libri di poesie tra cui, Cantica del Lupo (Besa, 2014), Due parole in croce (Il Raggio Verde, 2015), A cosa serve la poesia. Canti per la vita quotidiana (con Gianluigi Gherzi, Sensibili alle foglie, 2016), da cui è tratto lo spettacolo con Gianluigi Gherzi, e poi La manutenzione della solitudine (Musicaos, 2019) e A cosa serve la poesia. Un diario, 365 giorni (AnimaMundi, 2019), Requiem per gli ulivi (PAT, 2021), Da qui a una stella (AnimaMundi, 2021), Mappa dei luoghi selvatici. Poesie per un dove (con Gianluigi Gherzi, AnimaMundi, 2022) e Apocalisse Apocrifa (Les Flâneurs Edizioni, 2023). I suoi testi e le sue poesie sono parte fondamentale del suo lavoro attoriale in reading spettacoli ed eventi dedicati alla parola detta.
* Fotografia di copertina di Cinzia Miccoli.
