Con poesie di Salvatore Toma, Giovanni Pascoli, Filippo Pananti e Giampiero Neri
Nel precedente articolo de La lingua degli uccelli dedicato nello specifico ai Gufi, specie emblematica dell’ordine degli Strigiformae, più comunemente noti come rapaci notturni, avevo premesso una postilla etimologica, che credo sia opportuno riproporre perché molto attinente alla Civetta, della quale mi occuperò ora. Scrissi: «il nome dell’ordine e della famiglia degli Strigidae deriva dal nome greco del gufo, strix, (στρίξ, con il tema τρίζω che significa “stridere”). I termini latini strix e striga derivano dal greco e hanno dato origine all’italiano strega».
Rispetto al Gufo, con il quale la Civetta (Athena noctua) condivide molti aspetti simbolici, relativi alla componente notturna, lugubre e malaugurante, quest’ultima ha un profilo tradizionale e figurativo (e, di conseguenza, letterario) con alcuni aspetti propri e altri, pur comuni, ma di maggiore o minore gradazione, tant’è vero, per esempio, che il “mal augurare”, nel parlato, è approdato a gufare e non a civettare, mentre civetteria e/o civettuolo/a non ha specularità e corrispondenze con il tenebroso cugino. Nello strano mondo dei bestiari figurati la Civetta è femmina, è una «donna sfacciata e ardita nel trattar con gli omini e nell’adescarli» e «far la civetta» equivale, per il Dizionario Etimologico Italiano, a «donne che allettano gli amanti cogli sguardi e co’ lazzi a mo’ di civetta e di quelle che troppo vanamente amoreggiano». Determinante, mi pare, in questo scenario figurato è l’insieme di alcune caratteristiche anatomo-comportamenti dell’uccello: il verso incantatore, soprattutto gli occhi grandi, «dolci/ come lampade a petrolio», ammiccanti e lunari, e «con le ciglia che battono lente», come rimarca, per addivenire sùbito al mondo dei versi italici con Salvatore Toma:
(La civetta caccia) di Salvatore Toma[1]
La civetta caccia
nella calma delle notti
ma stasera che la pace
è limitata
dalla grandine e dal temporale
in qualche vecchio rudere
starà con lo stomaco vuoto
il collo ritirato fra le ali
gli occhi dolci
come lampade a petrolio.
Domani sazia
dominerà il silenzio
con le ciglia che battono lente
come l’orologio della torre.
Scriveva Claudio Eliano[2] che «con la sua voce simile a un incantesimo diffonde intorno a sé un fascinoso richiamo che astutamente induce gli uccelli e li induce a posarsi accanto a lei». Adescatrice, maliziosa, affascinante o svagata, di buone «creanze», dai «buffi ammiccamenti»: pure questo spettro di caratteristiche ricorre come una costante e affiora in molta poesia italiana, dall’efficace ritratto che nel poemetto ad essa dedicato le destina Filippo Pananti (1766-1837), fino al descrittivismo preciso di Giampiero Neri:
da La civetta, di Filippo Pananti[3]
[…] La civetta con tutti amabilissima,
sa le creanze, sa le convenienze,
e sembra dire ognor: «Serva umilissima»,
con belle e graziose riverenze.
(L’anziano assicuratore era un amico) di Giampiero Neri[4]
L’anziano assicuratore era un amico
della musica e la caccia.
In ufficio temeva in gabbia una civetta
per compagnia e forse per richiamo.
Guardando dalla porta a vetri
si vedeva l’ufficio vuoto
e la civetta con le sue strane movenze
e i suoi buffi ammiccamenti.
La caratteristica, accentuata dalle attribuzioni fantasiose e antropomorfizzate, di saper incantare e richiamare l’attenzione si proietta nell’uso di “auto civetta”, o di “nave civetta”, i “prezzi-civetta” dei market, realtà pensate appunto per ingannare o attirare l’attenzione.
Un ulteriore aspetto interesse prettamente etimologico trova corrispettivo nella nota (si fa per dire) staffetta mitologica tra cornacchie e civette quali uccelli prediletti da Athena-Minerva e simboleggianti la dea (non a caso il nome scientifico della Civetta: Athena noctua): i termini francese chouette (civetta), gli spagnoli chova (gazza) e choya (cornacchia), tutti derivanti dal tedesco antico chouch, civetta, e all’inglese schoug.[5] In italiano il simile chiù, di pascoliana risonanza, è anche il nome popolare dell’assiolo, altro piccolo gufo.
Una doppia, un po’ sorprendente, concomitanza e combinazione tra corvidi e rapaci notturni. Sul fondale nero-notte.
Anche nel suo periodo, per così dire, di massimo favore simbolico, legato alla dea Athena, quando anche nella numismatica le effigi del rapace le attribuivano lustro e rispetto, gli aspetti positivi non sono mai stati stabili e soverchianti, ad eccezione forse di certo presenze nella mitologia nordica. Ha spesso prevalso l’attribuzione di “uccello nefasto”. E non posso fare a meno qui di commentare amaramente quanti danni e sofferenze, anche tra gli animali, abbiano generato superstizioni e credenze. «Per questo motivo – ricorda Cattabiani[6] – nell’antichità si usava anche crocifiggerle insieme con gli altri volatili notturni, dal gufo al pipistrello, per proteggere poderi e case». E non consola affatto, anzi, che la stessa crudele sorte avvenisse, nelle campagne francesi fino a un secolo fa anche a fronte della opposta credenza che, in quanto simbolo cristico[7], lo strigiforme avesse poteri protettivi. Sempre, sciaguratamente, da crocifissa! Victor Hugo dedica inequivoci versi a questo macabra usanza:
«Ella andava liberando gli uomini/ dai loro nemici tenebrosi;/ gli uomini, neri come siamo,/ catturarono lo spirito che lottava per loro;/ poi lo inchiodarono, gli infami,/ l’anima che difendeva le loro anime,/ l’essere il cui occhio diffondeva luce;/ e la folla, nella sua demenza,/ derise quella civetta immensa/ della luce e dell’amore!»[8]
La polisemia della civetta nelle varie epoche – compresa quelle dominate dalla cristianità – non è quindi mai venuta meno, arrivando attribuirle anche numerosi vizi (come la pigrizia, perché dorme di giorno, l’avarizia, perché come l’avaro non dorme di notte per timore delle insidie ai propri beni, l’ignoranza, perché preferisce il buio della non-conoscenza, la malizia, come già abbiamo spiegato) ma, ripeto, in primo piano è sempre riemerso il simbolismo tenebroso e funereo. Focalizzandoci sulla poesia italiana, questo è quanto si riscontra anche in uno dei maggiori poeti “ornitofili” (oltre che in assoluto), cioè Giovanni Pascoli. Nell’omonima poesia, che riportiamo solo per le prime strofe, da Myricae, risuona infatti, ovviamente notturna, una «stridula risata di fattucchiera»:
La civetta, di Giovanni Pascoli[9]
Stavano neri al lume della luna
gli erti cipressi, guglie di basalto,
quando tra l’ombre svolò rapida una
ombra dall’alto:
orma sognata d’un volar di piume,
orma d’un soffio molle di velluto,
che passò l’ombre e scivolò nel lume
pallido e muto:
ed i cipressi sul deserto lido
stavano come un nero colonnato,
rigidi, ognuno con tra i rami un nido
addormentato.
E sopra tanta vita addormentata
dentro i cipressi, in mezzo la brughiera
sonare, ecco, una stridula risata
di fattucchiera:
[…]
Interessante l’uso di «svolò» che meglio di volò, metricamente equivalente, sembra rappresentare il volo rapido, silenzioso e sfuggente del rapace notturno.
Nella successiva poesia che propongo in chiusura, ancora del grande osservatore Giampiero Neri, un sottile gioco psicologico sostiene il testo, come se (più augurio mio, forse, che del rigoroso poeta lombardo) secoli di infamie, equivoci e vessazioni dovessero essere messe a tacere, in vece della giusta e naturale ammirazione per questa meravigliosa creatura:
Due tempi, di Giampiero Neri[10]
La civetta è un uccello pericoloso di notte
quando appare sul suo terreno
come un attore sulla scena
ha smesso la sua parte di zimbello.
Con una strana voce
fa udire il suo richiamo,
vola nell’area notturna.
Allora tace chi si prendeva gioco,
si nasconde dietro un riparo di foglie.
Ma è breve il seguito degli atti,
il teatro naturale si allontana.
All’apparire del giorno
la civetta ritorna il suo nido,
al suo dimesso destino
Note
[1] Salvatore Toma, Poesie (1978-1983) a cura di Luciano pagano, Musicaos ed., p. 99.
[2] Claudio Eliano, Περὶ ζῴων ἰδιότητος / La natura degli animali, X, 37.
[3] Filippo Pananti, La civetta, 1799.
[4] Giampiero Neri, da Armi e mestieri, in Antologia personale, Garzanti, 2022, p. 115.
[5] Cfr. Dizionario Etimologico online – https://www.etimo.it/?term=civetta.
[6] Alfredo Cattabiani, Volario, Mondadori, 2022, p. 499.
[7] Uno dei riferimenti alla civetta come simbolo cristico sarebbe, secondo Il Fisiologo, bestiario greco alessandrino di autore ignoto, il Salmo 101, 7: «Sono divenuto simile alla civetta sulle rovine» che rimanderebbe all’amore del Cristo per coloro che vivono nella desolazione e nelle tenebre.
[8] Victor Hugo, La Chouette, in Les Contemplations, III, 13.
[9] Giovanni Pascoli, Myricae, 1890.
[10] Giampiero Neri, da Teatro naturale, in Antologia personale, cit., p. 61.
Fotografia in copertina: Civetta (Athena noctua), da “Gli uccelli. Dizionario illustrato dell’avifauna italiana”, N. 11, Vallechi-Olimpia Ed. © 1986, dettaglio di copertina
