"Il corpo un'impressione d'aria": una nota ed intervista ad Emilia Barbato

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Primo piano increspato è il titolo dell’ultima raccolta poetica di Emilia Barbato uscita nel 2022 e pubblicata da Stampa 2009 con la prefazione di Maurizio Cucchi.
In questa breve nota, alcune mie considerazioni sul lavoro della Barbato si alternano alle domande che ho posto all’autrice che, attraverso le sue risposte, ci permetterà di orientarci all’interno dei suoi versi.

Prima di leggere la silloge ero rimasta colpita da alcune poesie tratte dal libro e da una bella nota di lettura comparse in rete. Queste poche indicazioni e l’immagine sobria della copertina destarono in me la curiosità nei confronti dell’opera che iniziai a immaginare come un oggetto prezioso e finemente intagliato, capace di irradiare luce, così come di assorbirla.
La lettura integrale della raccolta non ha disatteso le aspettative e la poesia della Barbato riesce effettivamente, tramite un verso che sembra emergere dal silenzio e un susseguirsi di immagini nitide e sfumate, a edificare uno spazio di rara e pura bellezza. In questi mesi più volte mi sono addentrata nei versi di Emilia col desiderio di accordarmi sempre di più all’atmosfera delicatissima e sicuramente distinguibile che si respira in tutta la raccolta.
Del libro incantano innanzitutto i passaggi in cui l’autrice contempla e restituisce, con profonda dedizione, quella parte di mondo che resta fuori da un’ordinaria osservazione.

“Da molto lontano l’uomo risale / il passo è limite / il corpo un’impressione d’aria. / Soffia quel poco sul vasto / poi ridiscende. Se ne va / instabile, lieve.”

Il ritmo pacato con cui si rivela la scrittura, la cura estrema della parola, la pulizia del dettato poetico invitano il lettore a immergersi nella lettura con attenzione, dedizione e calma, le stesse qualità che sembra possedere la poetessa mentre si dedica alla scrittura, o forse, in modo più appropriato, mentre il suo sguardo si posa sulle trame sfuggenti e misteriose del non visibile.

“Accordare il tempo e la mano / al cigolio dell’altalena / dondolare piano il viso della piccola, / c’erano così tante cose da desiderare, / il canto pacato di un vecchio /…  “

Questi sono i versi con cui si apre il libro e che trovo significativi. Da questi versi, come da altri, emergono con una precisa identità i luoghi sottilissimi attraverso i quali il mondo invisibile fluisce nel visibile.

Sembra che la tua poesia si formi in un mondo silenzioso, lento, in cui ogni istante ha il suo nome e si distingue da quello che lo precede e da quello che lo segue. Riporto qui un tuo frammento: “Le occasioni di chi ama la solitudine sono misteriose, /profonde”.
La solitudine è una condizione che ricerchi quando desideri scrivere?


Mi è spesso capitato di scrivere in luoghi inattesi, circondata da molte persone. La poesia mi raggiunge strappando il tessuto del reale, trascinandomi in un mondo rarefatto. Quello che conta per me non è la solitudine ma la mia capacità di cogliere l’attimo in cui il visibile trasfigura nel sublime. Ecco, è esattamente quello l’istante in cui qualcosa accade e inizia a voler far parlare di sé. Allora tutto sembra rallentare, tutto diventa fitto, silenzio. La forza dell’invisibile si adopera sull’ordinario, io resto in ascolto, come un’antenna, un occhio che impara.

Ho fatto riferimento, all’inizio di questo testo, a un’atmosfera che pervade l’intera opera e che segue l’osservazione della poetessa sia quando avviene negli spazi aperti, in cui si percepisce l’immagine di una natura viva e in movimento, sia quando viene esercitata all’interno di uno spazio chiuso, come possono essere le stanze di un hotel.
“L’Hotel” è il titolo della terza e ultima sezione del libro, ed è un luogo di transito e precarietà, un posto in cui il mistero, presente fin dalla prima sezione, si depone tra gli oggetti dimenticati e sui tendaggi polverosi, si infittisce, fino a creare tensione e attesa.” All’ingresso nessun usciere apre / la porta di vetro che separa i due mondi.”
All’interno dell’edificio si manifestano esili tratti di vite umane che sembrano scorrere insieme a quelle del regno vegetale e animale, sempre in silenzio, senza apparenti punti di contatto.  “Il tempo è precario, i clienti, / caduchi come rami, / hanno un portamento strisciante.”
 E ancora: “Non si dirà dei fratelli coloniali / né delle strette / cascanti edere o dell’asparago. / Sulla facciata a nord / nulla freme. /”
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Poesia e mistero è un binomio i cui termini, a volte, si nutrono reciprocamente. Nella tua poesia lo sguardo sembra avere un ruolo fondamentale anche nel rapportarsi a quella parte di realtà che risulta meno evidente, che sfugge all’osservazione comune e che pertanto possiamo definire misteriosa. Cosa puoi dirci in proposito?

È vero cerco di osservare con attenzione ciò che esula dall’immediatamente percepibile. L’aria che suona intorno agli oggetti, le ombre che prolungano di non materia il corpo delle cose, le soglie dei mondi che si aprono tra le pietre e il prato, potrei restare ore ad osservare nell’apparente immobilità il moto, l’energia. Vedere realmente è sapere, imparare dai dettagli l’essenza nuova della cosa. In base alla mia esperienza e alle mie preferenze, la poesia dovrebbe sempre non dire apertamente, occorre lasciare al lettore una terra di immaginario da coltivare.

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La seconda sezione del tuo libro si intitola “Voci da un pontile”. Ogni poesia di questa sezione contiene la parola pontile. Cucchi, nella prefazione, definisce questi componimenti poetici “inquiete trame narrative”.
Io li trovo estremamente evocativi, delicati e profondi, sembrano nascere dalla nebbia e venire su lentamente, acquistando via via una maggiore nitidezza.  
“Alcuni pontili non esistono / tuttavia in certi giorni di pioggia / nel sottobosco i tuoni / spaventosissimi spingono a ricredersi.”
Tu riesci a scrivere quattordici poesie utilizzando la parola pontile. Cosa rappresenta per te il pontile?

Il pontile per me è in primo luogo una forma archetipica a cui si riconduce la terra dell’anima, rappresenta inoltre la rinuncia a sancire una corrispondenza definitiva tra la parola, come misura dell’osservato, e lo scenario. Terra di mezzo il pontile accoglie, trasforma, racconta. È la vocazione dello sguardo a superare l’estetica e la forma per approdare alla dimensione psichica del paesaggio.

Propongo, per concludere, cinque poesie tratte dal libro.



Accordare il tempo e la mano
al cigolio dell’altalena
dondolare piano il viso della piccola,
c’aerano così tante cose da desiderare,
il canto pacato di un vecchio, la natura
ineffabile del desiderio in una ciotola Oribe,
l’ombra delle foglie d’acero.
Con centootto rintocchi
di un’antica campana l’uomo del mare
prese tutti i sogni.

*

Minuto di mito l’uomo versa
di anfora in anfora un torbido
momentaneo sul mare.
Rombo d’onda si frange
in rosse e grosse bugie
calcando l’ombra dell’immortale.


*

Il disordine sovverte
ogni architettura del paesaggio, le figure
malinconiche sono quel filo di voce appena udibile.
Lontano il fiato, che ha disatteso
la fossetta del giugulo,
le clavicole, è un respiro
che sa tenere fumo e suono
e non la mano che getta:
un gesto rovinoso!


*


SPERANZA


Quando il lago si ritira dalla piena
– e i passi sbagliano stagione-
tracima una speranza.
Rincasa, aurora del remoto
il pontile riaffiora.


*


Dallo scrittoio la lampada
memore di una fosforescenza
fruga nella polvere un verbo
remoto, ma nomina appena
le orbite di una falena, il peso

irrisorio dei suoi resti.

Emilia Barbato è nata a Napoli nel 1971 e risiede a Milano. I suoi testi sono apparsi in diverse antologie, sulla rivista Il Segnale, Poezia di Bucarest, Immaginazione delle Edizioni Manni e sull’Aperiodico ad Apparizione Aleatoria delle Edizioni del Foglio Clandestino.
Geografie di un Orlo (CSA Editrice, 2011) è la sua prima raccolta. Seguono Memoriali Bianchi (Edizioni Smasher, 2014) Capogatto (Puntoacapo Editrice, 2016), Il rigo tra i rami del sambuco (Pietre Vive Editore, 2018), Nature Reversibili (LietoColle, 2019), Flipper (Officina Coviello, 2022), Primo Piano Increspato (Stampa 2009, 2022).


Fotografia in copertina Claudia Castanò

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