"Nell'attesa di un chiarore" | Una lettura di "Amuleti" di Lorenzo Pataro

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Parlerò di Amuleti (Ensemble, 2022), di Lorenzo Pataro cominciando con una breve presentazione del libro e avvalendomi della preziosa collaborazione del poeta che si è prestato a rispondere ad alcune domande.

La raccolta colpisce immediatamente per la vastità dello spazio in cui l’autore si manifesta e per le numerose relazioni che si stabiliscono tra l’interiorità del poeta e una natura senza tempo, intrisa di mistero, carica di segni da decifrare. Muovendosi tra noto e ignoto, tra ciò che è manifesto e l’inespresso, l’autore compone una silloge in cui predomina uno stato di attesa espresso tramite un canto misurato. Scrive Elio Pecora nella prefazione al libro: “Tutto – in questo continente di parole, di frasi, di cadenze – si avvolge in un ritmo denso e pacato. Il verso, che propende all’endecasillabo, ne esce per acclimatarsi in chiare e libere cadenze. Tutto si presenta come composto di un’uguale sostanza, eludendo ogni separatezza, trovando segrete ragioni in una confidenza e in una prossimità che sfociano in una cercata alleanza.” 

Un elemento da non sottovalutare, di sicura importanza per poter apprezzare pienamente la silloge, è la presenza, all’interno dei versi, di una lunga elencazione di animali, piante e luoghi che hanno la funzione di arricchire il mondo, di differenziarlo, di renderlo vivo e vibrante. Il poeta si avvale di un linguaggio accurato e dettagliato, di cui è chiaramente padrone, e come scrive Elio Pecora nella prefazione al volume, “gli strumenti non possono che essere quelli di una lingua posseduta e anzitutto sentita, e quelli di una visione di sé e del mondo che quel sé contiene e comprende.” 

Riporto, qui di seguito, il testo con cui si apre la raccolta e che bene la rappresenta. 

Ancora ritorna lo sparviero

il nibbio a piantare l’urlo nella schiena

a percorrere il dolore come un dito

che tocca la ferita e la ripara

la stagione degli amori ritorna

e spalanca i richiami dei tordi nella nebbia

se getti il germoglio sul cemento

lo ruba la gazza e lo conserva

nel nido poi scopre il tuo segreto

e smette di brillare ogni preghiera

ancora ritorna lo sparviero

la poiana caduta a capofitto.

Ho chiesto a Lorenzo Pataro cosa significhi per lui la natura e in quale modo intervenga nella composizione dei suoi versi. Di seguito, in corsivo, è riportata la risposta dell’autore.

Vivo in un paese immerso in una valle, attraversato da due fiumi, circondato da colline. Tutto è natura. Sicuramente influisce molto nella mia scrittura, i luoghi in cui questi versi nascono sono spesso posti abbandonati dalla modernità, case diroccate, pagliai, campi, rive di fiumi, luoghi in cui sembrano abitare divinità misteriose, in cui il silenzio ha trovato tana, una dimora che bisogna avere il coraggio di abitare. Ho un legame profondissimo con la dimora naturale che stiamo distruggendo. Più che ispirare, è la fonte primaria da cui spesso i miei versi prendono vita, forma, direzione. La sorgente e la foce insieme.    

Dalla raccolta leggiamo:

“le ceneri dei morti disperse come / fossero amuleti per i vivi,”.

“Nell’attesa di un chiarore / ci passiamo il talismano come un fuoco / da bruciare lento sulle dita, l’amuleto //di carta velina da mordere coi denti –“

È partendo da questi versi, e da altri simili, che ho chiesto a Lorenzo Pataro di spiegarci cosa sono, all’interno di questo contesto poetico, gli “amuleti” e su quale base ha scelto il titolo del libro.

Quando pensavo al titolo che avrei dovuto dare a questo libro, potevo scegliere tra diverse opzioni, tutte inizialmente valide e plausibili. Mi sono venuti in soccorso gli amuleti quando ho compreso che gli animali, gli oggetti, le persone (vive e non che siano) evocate nella raccolta avevano tutti avuto, durante la stesura, un valore protettivo, mi avevano sorvegliato come guardiani. Gli stessi versi, la parola di per sé, avevano avuto questa funzione, anche il male “oscuro” descritto nella seconda sezione in qualche modo – col senno di poi – mi aveva guidato, mi aveva protetto. Amuleti allora sono tutti questi enti che mi hanno suggerito il bene, che ho portato con me, custodendoli, come portafortuna, a cui io stesso ho dato questo significato, con la poesia hanno assunto un valore assoluto, un potere magico e antico, primordiale, una forza magnetica, attiva, con una voce udibile persino dall’aldilà.

In molte poesie si fa riferimento ai morti, al profondo sentimento che ci lega a coloro che non sono più in vita, a un altrove misterioso, ma non del tutto irraggiungibile. Una sezione si intitola “I morti sono i tarli della neve”, un verso di una poesia breve e intensa che riporto di seguito.

I morti accatastati come legna

nelle tombe, polvere di semina,

le ossa a brillare accese dai lumini,

i falchi-guardiani a sorvegliare

il loro sonno primordiale.

I morti sono i tarli della neve.

 Ho chiesto a Lorenzo di spiegarci, se è possibile, come nasce questo verso.

È un’immagine, questa, che è arrivata all’improvviso, mentre ero in visita ad un cimitero, in inverno. C’era la neve. Ho pensato alla presenza/assenza dei morti. La loro durata e la loro fine, a seconda delle interpretazioni. I tarli nella neve, appunto. L’invisibile che scava in ciò che è effimero in questa terra, che continua con la sua assenza a vivere in chi resta. I morti sono tarli nella mente di chi resta. Ma nel tempo, se non lasciano una scia, la memoria si affievolisce, i rimasti vanno via a loro volta e allora tutto si scioglie, resta una traccia, invisibile, una traiettoria anonima, una memoria fluviale, qualcosa che scorre senza avere un nome, un’eredità nel sangue dei nuovi vivi.

Dalla raccolta leggiamo:

“il rovescio di ogni attesa è nella cura.” 

“ …..il rovescio dell’acqua / a smidollare le ossa, a seccare il magma / nascosto, la fame religiosa dei tarli.”

 ”… leggi i tuoi tarocchi / e sui fiori illustrati segni al contrario i vaticini / mentre fuori un altro anno // rovescia i nostri nomi e l’alfabeto.”

“La dimensione del rovescio è ricorrente nei tuoi versi. Ci puoi dire cosa rappresenta per te?” 

Questa dimensione del rovescio e dell’inversione mi appartiene e la sento molto mia, sì. Credo che la poesia debba in qualche modo rovesciare lo sguardo sul noto, aprire nuove prospettive rispetto all’abitudine, al linguaggio costruito, al mondo che già c’è. Ecco che allora rovesciare significa guardare meglio e più a fondo, scoprire l’illusione e nasconderla ulteriormente, indagare il mistero che circonda ogni ente e tentare di darne una chiave interpretativa più che risolutiva. Invertire e rovesciare come metodo di indagine del mondo, credo che la poesia debba suggerire un nuovo modo di abitare questo tempo che ci è concesso, non ripetere solo quello che già esiste, ma rendere possibile una nuova ottica, una nuova visione. Sarà che amo i poeti visionari, chissà. Credo in una poesia che scardina le certezze, che inquieta oltre che accarezzare, che generi lampi, sussulti oltre che buoni sentimenti.

Per concludere propongo quattro poesie tratte da ”Amuleti”

Insegnami la quiete delle gazze

di vedetta sui cipressi

e recita al contrario rovesciati

tutti i salmi che conosci

come fosse un cifrario per il volo,

impara dal silenzio tra i richiami

il segreto di ogni correre in picchiata,

posa la tua insonnia e la tua febbre

– di pane che lievita la notte –

sulle tegole spostate dalla pioggia

e aspetta che ogni passero

spezzi l’ala come un’ostia contro il vento

che ripeta in ogni verso

il miracolo dell’uva che fermenta

ciò che ha visto da lontano

ciò che brilla tra la rena del torrente

e nel raduno dei frammenti nel suo nido

scopre qualcosa che non sai, che non cerchi,

che punge quando dormi nelle scapole

ferite dal respiro troppo umano.

*

Nell’attesa di un chiarore

ci passiamo il talismano come un fuoco

da bruciare lento sulle dita, l’amuleto

di carta velina da mordere coi denti –

tu accendi un’altra fiamma nel calice

verde sulla tavola, leggi i tuoi tarocchi

e sui fiori illustrati segni al contrario i vaticini

mentre fuori un altro anno

rovescia i nostri nomi e l’alfabeto.

*

Stella di grafite, ti ho gettato

tra le onde, lieve combustione.

Luce primitiva, fammi iena

fammi aratro, braccato

nella nebbia. Luce-grembo.

Ti ho gettato in tutti i pori

nascita ulteriore, dono dei relitti,

fatica del restauro, sapiente oro.

*

Sentire come allora. Bambini-parco-giochi.

Sentire la vita come allora e in un punto

preciso, dentro al petto. Chiaro nitido

pungente. Accorgersi del noto.

Lo spazio tra le cose, tra il piede che si alza

nella corsa e il piede-ancora che tiene.

Polvere, il radioso nello spazio

tra le dita. Sentire un freddo che è lontano,

acuminato. Universo che semina nel petto

qualcosa di antico e benedetto.

In cerchio si osserva la ferita al ginocchio

del bambino, sangue e pelle, il suo frantumo.

Sentire come allora. Farsi tana e nascondersi

era un modo per lasciare il mondo vuoto, farsi

mondo nel mondo e nascondersi nel vuoto

lasciato dalle cose. Qualcuno ci cercava.

E noi acquattati come i morti. In attesa.

Trattenendo il respiro come loro.

Lorenzo Pataro (Castrovillari, 1998), laureato in Lettere moderne, ha pubblicato la raccolta di poesie Bruciare la sete (Controluna, 2018) e Amuleti (Ensemble, 2018), prefazione di Elio Pecora. Sue poesie sono state pubblicate su riviste e blog come «Atelier», «Interno Poesia», «Poesia del nostro tempo», «ClanDestino», «Il sarto di Ulm»; “Poeti e Poesia”, sul sito ufficiale di poesia della Rai («Poesia», di Luigia Sorrentino); sul quotidiano «La Repubblica». Ha vinto diversi premi letterari.

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