I maestri (I) – Delfina Provenzali

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Nevica
sotto i fiocchi il cancello
s’apre sul giardino.
Avanzo. La sciarpa
s’impiglia a un ferro.
E in me la parola
trama del sogno
si lacera.

*

Immersi
in un tempo che non è un tempo
ignorano il dubbio
il non senso lo sdoppiarsi
dei sentieri.
Filigrane
ragnatele di farfalle
impigliano ogni attesa.

*

Hanno dimenticato il mare
e le burrasche e l’inquietudine
delle procellarie. Lontani
gli aironi e l’ombra degli aironi
il ritrarsi dei granchi verso gli antri
lo sciamare confuso degli insetti.
Ignare
saline stagnano fra terra e cielo.
Il cardo lungo argini e alzaie
ci ferisce.
L’aggrumarsi – lento – del sangue
ci abbuia.
Noi sappiamo.

*

Ai miei piedi… nell’ombra
ciottoli del fiume
l’alveo senz’acqua.
Come un geco
negli angoli del muro
cerco
lame
di luce.

*

D’ogni uomo potrei ritrarre il volto
e dei rami segni del vento
e dell’inverno.
Di te solo la mano
che nell’aria inscrive
cerchi inquietanti di silenzio.

*

Abitare il tuo sonno e a lungo
i cortili e le stanze
tra l’ombra e la memoria. Varcare
la soglia incerta del silenzio
tuo stupore intatto.

*

Per terre senza acqua
che la creta imbianca
avanziamo
ci accostiamo alla muraglia
così fredda
e improbabile
nel rigore delle rocce.

Contro il cielo in fiamme
il vento

il respiro che si sfalda.

*

Raffiche nelle forre del vento
e in basso
là dove nel farsi
e disfarsi d’isole
dilagano le maree
questa frattura
questa voragine d’indaco
che si inabissa.

Tra noi e la terra
le nubi
e solo l’ombra delle nubi.

*

Dal vigneto
dai filari disseccati
controluce
si levano nell’aria
e senza appiglio.
Tralci che la silice imbianca
pencolano sull’orlo
del muro sulla soglia
dell’ombre
per ritornare a se stessi
al loro vuoto. Ramaglie
i nostri gesti.

*

Attraverso la scorza delle cose
il grigiore delle mura.

Come radici che affondano nei solchi
sino alla falda
alla verde vena dell’acque.
Per strappare alla terra
un segno
una misura.

Così insufficiente
la nostra voce.

*

Abitiamo il silenzio
che corridoi rinserrano
e la solitudine.

Eppure
basterebbe che folate
oblique di vento si abbattessero
sui nostri volti
sconvolgessero
i nostri campi senza attesa
per ridestare vocali d’alba.

Ricominciare il tempo.





Nota bio/bibliografica di Delfina Provenzali su Spirali.it

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