"In più alte città della mente": Annalisa Ciampalini legge Katherine Larson

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Le storie più mute è un libro uscito nel 2016 per Interlinea edizioni e curato da Pietro Federico che è anche autore della prefazione. Il volume è una raccolta di alcune poesie di Katherine Larson, poetessa e biologa molecolare statunitense. Buona parte dei testi che possiamo leggere nel suddetto volume sono tratti dalla raccolta “Radial Simmetry” pubblicata nel 2011 dalla Yale University Press.

Una volta credevo che la scienza si occupasse / solo di certezza. Più tardi ne ho riconosciuto il mistero. Non esiste un linguaggio per questo, – / per il modo in cui ti vedo quando splendi. / Le nostre radici sono mimesi, / le nostre ali mimica. (Versi estratti dalla poesia “Mimesi e mimica”)

Scrive Pietro Federico nella sua illuminante prefazione: “Si scrive poesia, si legge poesia per conoscere sé e il mondo. Poesia è innanzitutto, ascolto, apertura, un fare spazio.” Credo che la Larson, con i suoi versi, testimoni che è effettivamente possibile creare uno spazio maggiore attorno a noi semplicemente osservando ciò che avviene con desiderio di conoscenza e allo stesso tempo con la sensazione che un mistero intenso permei ogni cosa. Il mistero è insito in ciò che accade, in ciò che è o sta per diventare, non deve essere spiegato. I versi della poetessa sono trasparenti, costruiti senza alcuna fatica apparente, e non sono scritti per addurre spiegazioni. Ciò che si avverte è semmai una tensione che resta costantemente vicina al verificarsi degli eventi, e soprattutto un mistero che segue la connessione tra i vari fenomeni che fanno parte dell’esistenza. O meglio: la costituiscono nella sua totalità. Si sente lo sguardo di chi vuol conoscere senza la frenesia di dover concludere l’indagine di conoscenza, e la propensione a lasciarsi attraversare dal mistero. È presente l’occhio scrutatore dello scienziato e quello trasognato del poeta. Ma non solo: è presente una mente lucida e ampia, un’anima che sa accogliere, ascoltare, tradurre.

Agosto, ogni filo d’erba / indossa la corona d’oro in cui morirà. / È la stessa dignità / che muove il vento affinché asciughi prima il bucato, / non è meraviglioso: i lenzuoli / sfiorano l’aria in un balletto / per il quale solo il cielo può essere il palcoscenico. / “(Versi estratti dalla poesia “Fine estate).

L’impressione è che diversi testi della raccolta si siano formati in conseguenza alla vista di paesaggi naturali, di animali, o di luoghi particolari, o meglio, proprio nel momento in cui essi erano osservati. Viene da chiedere: “che luoghi sono? Come fanno a essere così incisivi, potenti, così carichi di significati?” Eppure, la scrittura è sempre misurata, mai forzata, le connessioni tra le varie manifestazioni sono colte dall’autrice in maniera estremamente naturale. Le metafore estese, dinamiche percorrono l’architettura dello spazio, investono le relazioni umane, le penetrano con potenza. Ne esce un mondo arricchito, uno spazio smisurato in cui tutto potrebbe accadere, una segreta armonia che stupisce sempre. Lo sguardo della poetessa, acuto e stupefatto, e la versificazione coinvolgente e appassionata ci rivelano come sia possibile percepire una realtà tanto misteriosa e muta e riuscire a trovare un linguaggio adeguato con cui tradurla. A tenere insieme le varie componenti, a mantenere vivida la volontà di trasmettere una tale preziosa visione, è sicuramente l’amore per ciò che viene guardato, la cura con cui l’autrice si accosta ad ogni forma vivente e alle cose, l’essere autenticamente scienziata e poetessa. La poesia della Larson possiede una potenza sottile che induce il lettore a immergersi in uno spazio fatto di corrispondenze vive e generative, lo persuade a guardare verso un cielo che si espande / anche quando si sfrangia.

Intervistata da Alessandro Zaccuri per Avvenire nel dicembre 2016, Katherine Larson dice: “Nei miei versi trasferisco lo stupore che nasce dalle nuove scoperte. Anche l’arte è una vera forma di conoscenza che può aiutarci a esplorare il mistero”.

Aqueducts

The glass eels are migrating; they slip
up stones in riverbeds, silver
animating silver until the river is a restless
braid of molten light.

How easy it seems. The architecture
giving in to what it can’t hold back.
Remember when it felt like that?
How we’d sleep in the ruins
of the night like old, quiet water. Wake
luminous. Naked as birch trees.

Acquedotti

Le anguille trasparenti stanno migrando, scivolano
lungo le pietre immerse nel letto del fiume, argento
vivo dentro argento vivo finché il fiume non è altro che una treccia
senza riposo di luce colata.

Sembra così semplice. L’architettura che cede
lasciando spazio a ciò che non può trattenere.
Ricordi quando sentivamo tutto ciò?
Come dormivamo tra le rovine
della notte come acqua calma, antica. E ci svegliavamo
luminosi. Nudi come betulle.

Water clocks

The singing of the blind school
children and the
Mediterranean’s flat expanse are metaphors

for every kind of solitude made
forgivable by time.
The hillside museum with rows of empty

earthen vessels is full of it. A stillness
so replete
is resembles something like intimacy.

A fullness only partially fathomed.
Like water clocks
and sundials that allowed time to be

translated into elements: droplets, shadows.
And the laughter
of bathers from the spiaggetta.

                                                    *

The train stops just outside of Naples
where I buy a glass
of cold juice squeezed from tangerines

and walk into Pompeii. I couldn’t have
imagined the
magnitude of it. Brilliant pillars flush

with sky. Temples where sunlight
streams white
and seems to radiate from inside

the stones. Certain histories require
forgetfulness.
Other, strict belief. But I think

some histories live us. In the higher cities
of the brain,
even the speechless ones are burning.

Clessidre

Il canto che proviene dalla scuola
per bambini non vedenti
e la calma vastità del Mediterraneo sono metafore

per tutta quella solitudine resa
abbracciata dal tempo.
Il museo sul fianco del colle

con file di vascelli arenati ne è pieno.
Un’immobilità così colma
come uno sposo amato da secoli.

Una pienezza colta solo in parte.
Come clessidre
e meridiane che permettono al tempo di essere

tradotto in elementi: sabbia, ombre.
E la risata
dei bagnanti dalla spiaggetta.

*

Il treno ferma appena fuori Napoli
dove compro un bicchiere
di spremuta fresca al mandarino

ed entro a Pompei. Non avrei potuto
immaginare questa grandezza.
Pilastri lampeggiano contro il cielo.

Templi dove il sole
scorre bianco
e sembra irradiare dall’interno

delle pietre. Certe storie
chiedono dimenticanza.
Altre, ti chiedono di credere con tutto te stesso. Ma penso

che altre ancora ci vivano. In più alte città
della mente
anche quelle più mute ardono.

Solarium

The pomegranates are blurs of rouge
in the sky’s tarnished mirror.

The city, bleary with heat. Each day the eyes
of my cat assemble a more precocious gold.

“We press our blackened flesh against a sky so bright”. I hold
her in my arms at the fading windows.

We gaze together at nothing in particular,
down an avenue that leans so far her tawny eyes.

gutter out. In my laboratory, immortal cancer cells
divide and divide. The pomegranates

are almost ripe. Some splintered open the way
all things fragment – into something fundamental.

Either everything’s sublime or nothing is.

Solarium
Le melagrane sono sbavature di rossetto
nel riflesso appannato del cielo.

La città tremola nel calore. La mia gatta
raduna negli occhi un oro ogni giorno sempre più consapevole.

Premiamo il nostro corpo che annerisce contro un cielo così luminoso.
Tengo la gatta tra le braccia nella vetrata che svanisce.

Non fissiamo lo sguardo su niente in particolare,
un viale su cui i suoi occhi fulvi si appoggiano così lontani

da inumidirsi. Nel mio laboratorio le cellule immortali
di un tumore si dividono e dividono. Le melagrane

sono quasi mature. Qualcuna è andata in pezzi
così come tutte le cose si frammentano in qualcosa di essenziale.

Niente è sublime o lo è ogni cosa.

Katherine Larson (1977) è una biologa molecolare e poetessa statunitense. Sue poesie sono apparse in antologie come Prentice Hall’s Literature: An Introduction to Reading and Writing e in numerose riviste. Nel 2010, con la sua prima raccolta Radial Simmetry ha vinto la Yale Series of Younger Poets Competition dell’Università di Yale. Tale raccolta è stata pubblicata nell’anno successivo dalla Yale University Press. Nel 2016 ha ricevuto il premio del Festival internazionale di poesia civile di Vercelli. Le poesie proposte sono tratte da Le storie più mute (Interlinea edizioni, 2016), volume a cura di Pietro Federico, con una nota di Bryan Giemza.

Le poesie che avete letto sono tratte dalla raccolta di Katherine Larson, “Le storie più mute”(Interlinea, 2016).
La foto di copertina è uno scatto di Luca Pizzolitto (Amorgos, 2018).

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