Sergio Bertolino legge “Corpo contro” di Daniela Pericone

Autore/a cura di:


«Nel silenzio ascoltare è il solo talento». E la voce di Daniela Pericone si staglia alta e matura con la sua musica netta, il tessuto armonico coerente, regolato al millimetro, la coscienza ombratilmente e spesso amaramente lucida.
Di Corpo contro, da poco uscito per Passigli, mi è subito saltata all’occhio la peculiare potenza dei testi collocati in apertura di sezione, come l’elevata occorrenza (appunto) della parola ombra che qui subisce un ribaltamento di valore, caricandosi di positività e speranza (benché, in questo caso, si tratti di una speranza disperante), diventando così la «migliore illusione», la «gioia inutile» che poi è la poesia che poi è la strada verso l’essenziale nella vita.

La luce, invece, non rivela che macerie. Un faccia a faccia continuo con il disfacimento, il vuoto e la morte. Non si risparmia nulla.

Ecco, Non, altra ricorrenza. Vari componimenti iniziano con Non. Ho pensato fosse interessante, che ciò testimoniasse in qualche modo la parte più “morale” dell’autrice, il suo pudore, i divieti autoimposti, chissà quanti e per quanto tempo, il suo sofferto idealismo, la difficoltà nello stabilire rapporti con il mondo.

C’è tanta metapoesia, tanto scrivere sulla scrittura. Per dirla con Florenskij, «la parola è la realtà stessa». È in quel meraviglioso non-luogo che Pericone sente viva, nonostante tutto, la sua verità. Penetra in sé attraverso il suo strumento, o meglio, come ogni buon poeta ha negato la strumentalità dello strumento, dichiarandosi – con orgoglio – strumento dello strumento.

E fuori? e il cosiddetto mondo? «Accado, nessuno lo sa». A tal proposito la lirica Se devo dirmi qualcosa (p. 49) si dimostra centrale nell’architettura del libro. Tra precarietà e abbandono, rêverie e garbata crudezza, quel coacervo di idee e sensazioni confuse raggiunge la sua acme: «[…] trovo un volto dietro un velo / di foschia e mi chiedo chi sia / l’altra che mi guarda» (da notare, oltre all’uso sapiente dell’enjambement – tipico di Pericone: i versi mantengono agilità metrica senza però mai perdere profondità nello sviluppo del discorso –, la rima e l’assonanza altra-guarda. Il brano suona magistralmente).

Da sempre e per sempre sul punto di fuggire, di aprire «uno squarcio nel muro» del visibile, il poeta «inasprito al paese deserto» confessa le falle dell’autoconsapevolezza, il timore – e dunque il coraggio – per il «troppo vasto», spingendosi a guardare con sospetto la sua verità quasi fosse un’«illusione» in cui si ostina a dimenarsi, nella certezza della fine.

La sincerità di Pericone ha del commovente perché frutto di uno sforzo estremo, alla pari del suo stile. «‘Beauty is truth, truth beauty,’ – that is all». L’urna greca è ancora lì che aspetta, «come una cosa tra le cose». Non abbiamo smesso di cantare.




Vengo dai regni trascurabili
attraverso i cunicoli i vagoni
le corsie – l’ansia confinata
dentro gli occhi, la fatica
che s’intana tra le dita.
L’ordine da ricomporre
vuole la sua forza e non basta
rincorrere i millenni
né conta il desiderio – l’alba
si rigira in mezzo ai chiodi
appesa al nero
che trabocca dalle labbra –
non una terra su cui contare
doppia e capovolta la città
l’una impietrita sul mare, l’altra
arresa al suo splendore –
ovunque il mondo
contempla la sua fine.

*

Un salto e sparisce alla vista
la lucertola – ti somiglia, dicevi –
un sole che acceca e la frase lanciata
come per caso con un bagliore
di fauna familiare nel giardino.
Immagini di lasciare la stanza
voltare le spalle, ignorare il richiamo –
una contesa di tenebra e desiderio.
Cogliere al volo quando uscire di scena
è talento di pochi – la perfezione
rinnega l’azzardo – capire all’istante
qual è il trucco dov’è la trappola
il precipizio di cause irrimediabili
spalancato da una parola.
È tardi, la stagione inoltrata
agosto è il più freddo dei mesi.

*

Se devo dirmi qualcosa
non mi rivolgo parola
scrivo poche righe indecifrabili
sullo specchio in cui guardo ogni mattina
sperando che la frase vista al contrario
dia qualcosa di sensato
invece trovo un volto dietro un velo
di foschia e mi chiedo chi sia
l’altra che mi guarda, diversa ogni giorno
dal giorno prima, se non fosse che
si mostra indifferente alla mia sorte
perché sa che è questione di poco
che non ho scampo io, e nemmeno lei.



Sito web creato con WordPress.com.