Raffaela Fazio: “Non esiste un’uscita dall’ombra che ci forma e ci spetta”

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“Ti slegherai le trecce” (Coazinzola Press, 2017, postfazione di Francesco D’Alessandro) di Raffaela Fazio recupera il mito per dire il femminile e quei «frammenti dell’anima che, nel vissuto, perlopiù tacciono limitati o risanati nell’ombra». Cinque sezioni («La fiamma e il buio», «Il frutto e il seme», «Il cerchio e il riflesso», «Il soffio e il canto», «Il silenzio») si susseguono secondo una struttura solida, nel segno di una circolarità che procede da simboli archetipici aventi carattere generativo (la fiamma e il buio) sino al silenzio, che nel suo spazio armonizza tutti gli opposti. La perizia stilistico-formale di Fazio è resa per mezzo di una tessitura tramata da rime interne, assonanze ed enjambement, il cui impiego conferisce ai versi una musicalità serrata e vibrante. Nota D’Alessandro in post-fazione:

Mi permetto una breve digressione. Ho spesso pensato, dei poeti che usano in prevalenza il verso breve o brevissimo, anche di un solo vocabolo, che non hanno respiro, ovvero che hanno il passo corto; i loro versi sono spezzati senza un’intenzione, oppure scivolano nella cantilena. Ci sono tuttavia poeti che pur usando la misura breve – e Raffaela è una di loro – riescono a dare al verso un respiro del tutto particolare, di grande intensità e concentrazione. Il verso di Raffaela è preciso ed ha una musica mai scontata: un sincopato jazz fatto di slanci e arresti, di frenate e riprese, di cesure accorte, e nel quale le frequenti rime, spesso interne, servono a scandire e a rimarcare il tempo; tutto con lo scopo di tenere avvinto il lettore.


Di seguito alcuni testi tratti dalla raccolta.

Calipso

Torna la mano
alla spola d’oro
e la voce al canto.

Ma la trama
che in dolci forme
arrestava il tempo
non ha più ordito.
Il ricordo
delle parole
è un volo spento.

Lui se n’è andato.

Profuma il bosco
di tuia e di cedro.
La vite feconda
la buia grotta il piacere
più fondo
il nulla

niente è bastato.

Non ti ribelli.
Tuo dono persino
la scure
per abbattere i tronchi
i drappi per le vele
e poi i viveri il mosto.

Lo hai lasciato partire.

Sei lucente
anche in questa
tua morte.

Lontano
lui scopre invece
un altro naufragio
la falla
il rimpianto l’assalto
dell’onda.
A fatica
torna a galla
appesantito
dalle ricche vesti
dal ricamo delle tue dita
immortali nascoste
di notte
tra i suoi capelli.

*

Euridice

Sotto il velo e le bende
sei bruma.
E una nebbia più estesa
ti tenta.
Sei pronta
alla dismisura
a slegare
dalla caviglia il bruciore
ricordo ultimo
di vita.
Ma inatteso il morso
di nuovo
pulsa.
Chi spinge
il tuo passo
attraverso il nulla?
Cosa segui?
Chi ti tiene?
La mano in altra mano.
Più ti stringe
più la presa s’allenta
e le dita si sfanno.

Chi ti precede
si volta
non capisce.
Controluce
il viso è un disco nero
un cerchio il tempo
e il suo futuro
nient’altro che un ritorno
a questa soglia.
Lui esce
nel giorno ti lascia
ti lascia.

Tu resti
arresa distanza
foschia.
Scavalchi i contorni
ti stendi. Sei oltre
ogni scadenza
e crocevia

*

Didone

Vorrebbe toccare
in mezzo alle ombre
il fiore scarlatto
che sfugge, la recente
ferita.
Ricorda
un sussulto diverso
sul tuo petto
felice
quando dentro alla grotta
ti vinse, regina
vincendo
il tuo avere
più caro: il lutto
fedele
intatto negli anni.

Là credesti
in un pegno
scambiasti
per vincolo sacro
la sua conquista.

Adesso ritorna
straniero
al tuo nuovo regno.
E trema.

Ma tu vedi
soltanto la foglia
che cade ai tuoi piedi.
Serena la segui
nel sogno, nel bosco
brumoso
e ti unisci di nuovo
allo sposo
che da tempo ti aspetta.

Nella selva
l’amore non cambia
non c’è fato
né scusa
al commiato, né fretta.

*

Arianna

Il filo
che si allunga
non tiene ciò che sfugge
diventa tra le onde
bianca scia.
Né amato né nemico
all’altro capo.

Ancora dormi.
Al centro del meandro
compreso
vinto
credevi l’indomato
e amore
il passo districato
del ritorno.

Ma il vero labirinto
è al tuo risveglio
un dio
che dà dimenticanza:
nera fatale
nelle vele
quella del traditore
la tua invece
una danza
da cui non vorrai uscire.

Ti slegherai le trecce
Un suono ti conduce
il sangue nelle vene.
all’abbandono.

*

Laodamia

Quale il costo
di un’unica notte?
Svuotato
il corpo non rinuncia:
trasforma
la fiamma in attesa
lunga muta
senz’argini e fondo.

Ma alla fine capisci.
Ciò che hai chiesto
non basta
non esiste
misura
che plachi la sete

né tre ore
né forse una vita.

Preferisci
all’inganno altro inganno.
Non t’illudi
che il tempo ritorni
ma t’inventi
l’istante che si eterna.

Sullo stampo
lo scolpisci. Nella cera
l’abbraccio
in cui vivi e muori
ogni notte:
ultima finzione.
E nel fuoco
che fonde
reale e simulacro
la liberazione.

*

Alcesti

Un istante
rivela la vita.
Da quella improvvisa
fessura
fiotta il giorno
a ritroso
nella notte
attinge il suo senso
e l’addensa.

Chi è il tuo sposo?
Il suo riso
negli anni, il portarti
alle labbra il boccale
e la reggia
ospitale…
Era tutto una fuga.
E l’amore un pretesto
per scordare
se stesso.

Anche adesso
non risponde all’appello
non accetta l’estremo
confine
che suggella il suo nome.

Tu capisci.
E di colpo ribelle
offri il dono
chinando la testa:
oltrepassi la soglia
al suo posto.
Che scompaia
il tuo volto, lo specchio
che deflette
perché il buio
rimandi all’amato
il suo vero sembiante.

Sorridi e ti aspetti
che nel lutto
l’uomo solo
rinasca, s’impasti
di vuoto e di forza.
Non più vino, né canti
o battaglie. Basta
il nudo lamento
accanto a due figli
la fatica
della propria paura
il sedersi sul trono
di gemme o di ortiche
che ha apprestato la vita.

Non esiste un’uscita
dall’ombra
che ci forma e ci spetta.






Dipinto in copertina di Joseph Stallaert, La morte di Didone (1872)

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