Il cardiogramma delle perdite: una lettura di Nikola Madzirov

Autore/a cura di:

a cura di Emilia Barbato




Ciò che abbiamo detto ci perseguiterà di Nikola Madzirov, Crocetti Editore 2025, è una raccolta poetica che aiuta il lettore a comprendere cosa significhi vivere il confine. Il limite in queste pagine non è solo un concetto geografico ma frattura, tensione affettiva. La lontananza scorre nei versi, si insinua negli oggetti, nei ricordi, costituendo progressivamente un paesaggio di memoria in cui il tempo è sospeso. Passato e futuro, pur non essendo perduti, sembrano restare fuori portata.

Nikola Madzirov, nato a Strumica, potrebbe dirsi poeta liminale ben consapevole di abitare la soglia e la transizione propria degli esuli. «L’anello sul mio dito è senz’ombra propria, /ricorda il sole. Mi manca il coraggio di una stella/spostata.»

I luoghi, le città, le cose domestiche, perdono la loro esteriorità per diventare una realtà intima e metafisica. Nella poesia ‘Cose che vogliamo toccare’, infatti, il verso iniziale «Nulla esiste al di fuori di noi» sembra chiarire quanto la realtà svanisca e quanto tutto nasca dalla mancanza. L’affettività disattesa, gli abbracci di un’umanità ferita, emergono da un groviglio di cavi nel cavo dei mattoni delle case disabitate, e la doppia dimensione dell’umano affiora muovendosi tra una natura bassa “scarpa strascinata” e una altissima “luce” e “angelo”.

L’attrito tra radici e sradicamento, la tensione della ricerca di un senso, sfocia in una spiritualità che è propria di chi non appartiene a un luogo, di chi avverte il confine come varco tra il visibile e l’invisibile, tra il percepito e il visto, tra un’identità e il suo superamento. L’anima avverte l’urgenza di riarticolare una patria luminosa insita nel proprio modo di sentire, di vivere il divino che si mischia all’ordinario suscitando un clamore straordinario. E così il poeta vive «[…] fra due verità/ come una luce al neon che tremola/ in un corridoio vuoto.» e ancora «[…] La neve ripiegando le ali/sulle colline, mentre io ripercorrevo con le mani/il tuo corpo come un nastro/che si srotola lungo i contorni./ L’universo esisteva/perché potessimo nascere in luoghi diversi/e la patria fosse l’arcobaleno/ fra due giardini/che si ignorano. ». La spiritualità insieme alla mancanza, alla lontananza, rendono queste poesie canti di un’umanità fragilissima.







Lancette dell’orologio


Eredita la tua infanzia dall’album delle foto.
Tramanda il silenzio
che si spande e raccoglie
come uno stormo di uccelli in volo.
Tieni stretta tra i palmi
la palla di neve sbieca
mentre colano le gocce
lungo la linea della vita.
Di’ la preghiera
a labbra chiuse:
le parole sono semi che cadono in un vaso.

Si impara il silenzio nel grembo materno.

Prova a nascere
come la lancetta grande dopo mezzanotte
e subito i secondi ti sorpassano.

*

Scopriamo il tempo


Esistiamo quando si aprono le finestre
e i fascicoli riservati. Soffiamo via
la polvere senza menzionare
i morti e i loro amori immortali.
In fondo alla valigia
mettiamo sempre il pigiama e
e le scarpe una suola sull’altra.
Leggiamo le lettere una sola volta,
per nascondere un segreto.
Allunghiamo le mani per scoprire il tempo,
e nel silenzio ci sussurriamo cose
ancora più irrisorie del sonno spezzato
della farfalla di un giorno.

*

Volare


La nebbia pende sulla città
come il capo chino della Vergine
su un affresco lontano.

Le antenne paraboliche discutono
con gli angeli
sul tempo che farà domani:
chiaro, sicuro, sontuoso
come le date rosse
in un calendario.

Ma non appena la notte avrà radunato
le ombre sul muro,
sguscerai dai rami
come un uccello favoloso
dal retro di una banconota.

*

L’occhio

per Vasko Popa

Apri un occhio soltanto –
l’orizzonte è nell’occhio chiuso.

Apri la conchiglia –
nessuna solitudine scapperà.

Le pietre in fondo al fiume bevono il tempo,
i pesci morti nuotano verso il sole.

Apri un occhio soltanto.
Il mondo è un giovane albero in un cantiere,
le finestre sono i fiumi della nostra incertezza.

Apri il cielo.

Tengo una casa nel palmo delle mani –
una cappella per pregare nel cortile di un ospedale.










La foto in copertina è di Emilia Barbato