Immagine: Floriana Porta
SILLABARI
Rubrica a cura di Silvia Rosa
CUORE | LUCA MOZZACHIODI
Quando ho dovuto indagare la parola chiave di La Ragazza Rossa, singolare libro-romanzo che alterna testi originali e traduzioni, sono rimasto quasi stupito del fatto che tra quelle con più alta occorrenza vi fosse cuore. Dopotutto però è evidentemente un romanzo lirico dell’assenza o della presenza impossibile e, secondo una tradizione antichissima, il cuore è sia luogo e simbolo che vero e proprio personaggio di questo teatro dell’interiorità. Nel procedere della raccolta esso viene pugnalato, fucilato, schiacciato, disfatto, naufraga, si consuma, lacera il petto, siamo insomma nel regno della manìa, ha però tuttavia anche una propria agentività: è detto bestia, aggredisce con l’ascia, si accampa per un rigido inverno spirituale in altri cuori chiusi e simboleggia (nella seconda parte affidata alla voce di altri) anche la continuità con i morti e con i futuri: dalla bocca dei figli manda lampi e sul terreno degli amici defunti è sparso come alimento. Figura piena dell’umanità, si erge in impossibili teomachie ed è da un dio estraneo alla dimensione umana indurito, chiede solidarietà agli sfruttati e umiliati perché gli portino pace, ma vuole anche lottare contro un mondo «senza cuore» che si presenta come sua antitesi. Il libro è, in un certo senso la storia travagliata della ricostruzione di un cuore, è stato detto, di fronte a uno sguardo d’ombra dell’altro, presente e vigile ma vuoto. In questo libro i cuori non si guardano e non si vedono, mancano, si dice, di grandezza, piuttosto impazzano, raggelano o aggrediscono e l’ultimo verso del libro «con integri spirito e cuore», non fa riferimento a un impossibile lieto fine del vissero felici e contenti, quanto a una ricomposizione dell’integrità umana e del rapporto tra sofferenza e passioni individuali e collettive. I soldati bambini, i camerieri, i tossici, gli operai in sciopero, i contadini, non possono dare la pace perché nella lotta per vivere integri ogni cuore è quello di uno sposo soldato e essi hanno davvero bisogno di ogni soldato possibile.
Da La ragazza rossa (raccolta inedita)
DRINKING BLUES
Ragazza io cosa ti devo dire?
siediti, slaccia il cappotto, non farà
freddo per quest’ora e cosa vuoi
se non l’inflazione: le dita di coltello
da due a sette dentro il mio cuore
e il cane del desiderio che piena
m’ha la gola di cruore.
Ragazza non lo sai quanto consola
questo fondo di bicchiere dove stai
e si riflette violacea la gente che passa.
Una e una e poi un’altra,
le mie sconfitte io ti dirò,
metti su questo blues
che la notte finisce.
Ai tuoi vent’anni io che canterò?
Borbotterò piuttosto due o tre cose che sai
sulla primavera e sui ciliegi,
ma è gennaio e il letto è fatto grande
se stendo la mano. Io che ti devo dire?
Vengo da un altro pianeta e lasciami,
se puoi, qui a morire.
Ragazza rossa insomma seppellisci
tu i tuoi dispiaceri che io
ho questa notte senza stelle
stesa su un cielo ubriaco
e tutto, tutto, è solamente ieri.
Spingi allora forte la lama, oppure
siediti qui con me, ci sono due bicchieri.
AMAZING GRACE
Caricava per bene piedi contro spalle
il suo bottino umano per il mare,
sapeva a modo verberare,
maestro di campi e frusta
e quando l’onda rovesciò a babordo
riprese a pregare, o stupefacente
grazia del Signore. Così la storia
spiegata brevemente davanti la bara.
e quando saremo lì da mille anni
folgorati di gloria, dicono ragazza
che non avremo meno voglia noi,
ma se tu vuoi sapere come piango
ecco, è così, le mani strette al petto
che non mi balzi fuori il cuore armato d’ascia
per fare tutto a pezzi, schiodare
con i denti la cassa, prendere
a sassate la vigna di Dio come fanno i monelli.
Ti ho chiamato per sentire la tua voce
o solo nella pausa tra due tiri e la tosse,
perché, direbbero, tutto questo tremore?
Nel sole eterno non hanno più parole.
Ragazza rossa non farti amici i vecchi,
dopo per anni risponderesti sola
e questa grazia non è nostra, ma nostro cos’è
se non cercarli all’angolo tra i caffè
nei giorni di pioggia che è scivolato via
quel cuore bestia tra le dita bagnate
e se piango così è per loro e se sorrido è per te?
XXII
LA SCELTA (da Sorley MacLean)
Passeggiavo con la mia ragione
fuori presso il mare,
eravamo insieme ma
mi teneva a breve distanza.
Poi si voltò dicendo:
è vero che hai sentito
che il tuo bel bianco amore
si sposa lunedì sul presto?
Ho controllato il cuore che cresceva
nel mio petto lacero all’improvviso
e ho detto, assai probabilmente:
perché dovrei mentire su ciò?
Come potrei pensare di afferrare
la raggiante stella d’oro;
che potrei prenderla e metterla
prudentemente in tasca?
Non ho preso una croce da morto
sull’impervia estremità della Spagna
e come dunque aspettarmi
un nuovo premio del fato?
Ho solo seguito un cammino
piccolo, meschino, spoglio, arido, tiepido,
e come dunque potrei incontrare
il fulmine d’amore?
Ma se avessi di nuovo la scelta
e stessi su quel promontorio,
balzerei al cielo o all’inferno
con integri spirito e cuore.
*
Luca Mozzachiodi (1992) è assegnista di ricerca all’Università della Calabria; si occupa di critica letteraria e teoria della letteratura e di storia culturale. Collabora con diverse riviste e blog. Ha pubblicato il saggio Preparando il Sessantotto: saggisti e scrittori nelle riviste della nuova sinistra ed è in uscita la raccolta di saggi Gli scacchi di Brecht. Ha pubblicato i libri di poesia Le strade di Gerico (Marco Serra Tarantola 2013), L’arte della sconfitta (Qudulibri 2017) e Tempo Stellare (Bertoni 2024).
