“A noi basti la gioia di cantare” di Massimiliano Bardotti

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A noi basti la gioia di cantare (peQuod 2025, prefazione di Guidalberto Bormolini)

Pubblicata da Pequod nel marzo 2025, A noi basti la gioia di cantare ultima fatica di Massimilano Bardotti, raccoglie poesie e prose liriche, con una splendida prefazione di Guidalberto Bormolini e una post fazione, altrettanto splendida, di Daniele Mencarelli, due nomi e due firme che indicano una esperienza letteraria, umana e spirituale che non ha bisogno di commenti. Conosco Massimiliano da molti anni, esattamente da quando ho iniziato ad occuparmi di Vaghe stelle dell’Orsa e lui fu uno degli ospiti della prima edizione. Ho visto compiersi la sua parabola umana e poetica o, forse è meglio dire, ho visto dare a questa parabola una direzione via via più precisa e netta che ha plasmato il suo rapporto con la Poesia e con il modo di scriverla. 

Sono sempre più convinta che la sua opera si allinei, di libro in libro, al suo respiro profondo, alla sua esistenza, dimostrando una coerenza (credete non comune) fra poesia e vita. L’ ho sentito dire spesso nei suoi incontri :“ Io scrivo poesia perché non saprei fare altro. Non so fare altro che questo, il poeta”  e, probabilmente, in lui più che in altri, il fare e l’essere battono la stessa coniugazione fino a fondersi insieme. Non è facile mantenere alta questa tensione e questa vibrazione fra la dimensione della scrittura e lo scorrere del proprio tempo che, inesorabilmente, come per tutti, si compie nella fatica e nelle contraddizioni che abitano l’animo umano ma, la poesia di Massimiliano, in questa ultima raccolta, è in grado di unire le curve alle valli, le salite alle discese senza che nessuna di essa perda in profondità e in senso.  io ti amo e ti confesso / che nulla ho capito/ di questo assurdo essere al mondo/ ma ho sentito Etty miagolare / stamattina, e ho visto mia moglie svegliarsi/ ho letto una poesia e ho creduto/ per un attimo davvero ho creduto/ di essere salvo. (dalla sezione Testamenti)

Il titolo A noi basti la gioia di cantare  porta in sé un grido di rivolta, utilizzare la parola “gioia” nei tempi bui che, realisticamente, stiamo attraversando, è una scelta che può aprire a due strade: quella che ha il sapore dell’ ingenuità disincarnata dalla vita o quella, consapevole, del coraggio. Bardotti non è un poeta che chiude gli occhi al dramma dell’esistenza, che nega o minimizza il dolore, la tragedia abissale della guerra, delle guerre, l’attacco continuo e sfiancante alla pace interiore ed esteriore, la brutalità e la violenza alla Natura,  eppure, il suo occhio poetico sa passarci attraverso, raccoglie il dolore trasformandolo in speranza, in invito ad un ribaltamento di sguardo. E come? Allenandosi a scoprire la “gioia” laddove forse appare più arduo, laddove nessuno cercherebbe, laddove l’indifferenza ha cancellato ogni colore, per erompere, poi, in esultanza, in una voglia inarrestabile di cantare, perché la sostanza della gioia è la condivsione, così come quella della poesia è il canto. Nessuno, in fondo, è  davvero felice da solo, la poesia è la forma più alta di dialogo con se stessi, con l’Altro, con gli altri. Per ogni violenza si canti con ancora più grazia e bellezza l’amore. E più è atroce, cruenta e ingiusta, la violenza, più è macabra e oscura, più si faccia il canto tenero e armonioso. (dalla sezione  Testamenti)

La scrittura, sia essa concepita come gesto civile (aggettivo molto caro ai decenni precedenti) o puramente stilistico, non è un atto di isolamento e di autoisolamento, la solitudine fertile e necessaria  del processo creativo,è il passo primo e necessario con la potenza e la chiamata che la Poesia ha nel suo essere Canto alla Vita, alla Morte e all’umanità intera. Massimiliano questo lo ha compreso bene, credo ne abbia fatto il nucleo fondante della sua attività di scrittore ma anche di ideatore di corsi e laboratori di poesia in tutta Italia.  Il “noi” del titolo è il plurale che ci comprende tutti, la poesia parla a tutti, che la si ascolti oppure no, la Poesia non esclude e non sa farlo, la sua natura è di consegnarsi, sta a noi ricevere o declinarne l’invito. Sta sempre a noi scegliere di ascoltarne il canto oppure volgere lo sguardo altrove. E forse è già essere salvi/ abitare il cuore degli altri / per accoglienza. (dalla sezione Prendi piano chi amo).  Ci sono i poeti cari a Bardotti, i poeti che l’hanno nutrito, accompagnato, plasmato nel suo viaggio di salvezza con e nella Poesia e che aprono le tredici sezioni del libro, c’è Emily, c’è Margherita Guidacci, c’è Turoldo, ci sono Gibran, Luzi e c’è la Sacra Scrittura, le voci a cui, in più punti della raccolta, i testi di Massimiliano fanno da controcanto, dimostrando quanto la lettura dei suoi maestri sia diventata materia incandescente del suo stesso versificare e anche quanta gratitudine il poeta senta per loro.

Ecco cos’è la memoria: è la storia di questo avvicinamento, fra noi e Amore. E se avessimo memoria delle vite di tutti, di tutta la vicenda umana, avremo la storia di una riconciliazione: l’Amore che torna all’Amore. (dalla sezione Memoria)

La poesia va controcorrente, Bardotti va controcorrente, certamente lontano da una tradizione letteraria del Secondo Novecento che- non raramente-  ha posto la dimensione umana in una condizione esistenziale di disperazione, nella ricerca spesso vana di senso, questo libro, al contrario, un senso lo indica e lo segue, senza infingimenti, senza buonismi facili, sa parlare di Morte, sa parlare alla Morte, spogliandola della dannazione e della paura, togliendo fra noi e lei l’inimicizia, la sterilità. Scrive Bormolini nella prefazione  Bardotti ce la fa capire e percepire per quello che è: qualcosa che appartiene alla vita e non qualcosa che le si oppone. 

Il poeta qui colpisce al cuore l’idolatria dell’idea della morte (non  la morte stessa), di cui spesso è imbevuta molta poesia e molta arte, snaturandola e deificandola in modo narcisistico per, in fondo, finire a deificare se stessi. Lui, invece, cambia passo, cambia respiro, anzi meglio, lo intercetta e vi si pone in ascolto Poi vieni, nel momento più alto d’incanto/ quando ogni sillaba del canto d’amore che siamo/  starà vibrando il Suo Nome soltanto. (dalla sezione Non ancora).   

Un ricercatore di Bellezza, Massimiliano, penso lo sia sempre stato anche nella prima fase della sua vita umana e letteraria e, credo, volente o nolente, sia la vocazione autentica di chiunque senta di avere con la parola poetica un rapporto vero, carnale e spirituale, lontano dai plausi e dai circoli poetici. Offrire, dedicare la propria vita a realizzare la bellezza. (dalla sezione Canti della fine )

E’ un viaggio questo libro, un viaggio che sa stare nel presente con le sue contraddizioni, è un viaggio nel passato con la sua fedeltà alle radici e alla saggezza dei morti, è un viaggio che ha già in faccia il vento di doman e lotta perché non ci si arrenda all’economia della disperazione, con la poesia come strumento, arma delicata e potente nelle mani del poeta a cui è delegata una grande responsabilità che Bardotti sente e vive in pienezza, ma, al contempo, poesia come voce a cui il poeta presta le mani, l’ascolto, il cuore.

Ci sono poesie delicate e bellissime che raccontano anche il mondo degli affetti di Massimiliano, il centro pulsante delle relazioni intime, degli animali amati (i maestri ostinati) che irradia la certezza del bene ed è porto sicuro, anche se lo sguardo bardottiano non è mai uno sguardo solipsistico nemmeno nella narrazione della sua dimensione privata, non lo era nelle raccolte precedenti e non lo è in questo suo ultimo lavoro.  A noi basti la gioia di cantare  è un’ affermazione ma anche un invito, una sfida, uno sberleffo a chi svende e vende angoscia, una preghiera, un’eco di un verso antico, una presa di coscienza e di azione, che spinge il lettore a prendere posizione e lo fa nettamente, senza timidezze o paure, perché la poesia come la gioia e come la vita, non chiede una misura di mezzo, non si può continuare ad essere morti prima della morte  Alla domanda se c’è o no vita dopo la morte dovremmo sostituire la più urgente domanda: c’è vita prima della morte? Scrive  il poeta in una delle prose finali, questo libro ha il coraggio del tutto o del niente, ha la forza di arrendersi al Bene e di offrirsi al mondo, attento o indifferente che sia, in fondo poco importa, perché se c’è una logica nella poesia è quella di sovvertire le logiche e di essere, semplicemente, dono.