2040: Jorie Graham

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Da Jorie Graham, 2040 (Crocetti 2025, Traduzione e cura di Antonella Francini, testo inglese a fronte)

IO

mi conosco io
dico al mio
io perciò
non posso essere

traviata. Traviata
dico io
mi conosco più
a fondo ora perciò

non possono farmi
fare una cosa
che fossi
un’altra

non farei
mai. Ma
l’ho fatta. Non l’ho
forse fatta? Non era

da me fare una cosa
simile o credere
una cosa simile mi
dico mentre

guardo attentamente
nell’unico specchio che
mi viene dato –
lì dentro io – io

che guardo accuratamente &
profondamente. Sono onesta
nel mio guardare
penso mentre vedo

lì dentro un’altra
apparire, il volere
negli occhi, una vela
al vento, vento
che ora si alza mentre

guardo dentro, in
sconcerto. L’antica
gentilezza dov’è.
Porto la mano

al viso ma
tocca il vetro. Dove
è il mio corpo per
guidarmi

penso. Tocco
la prigioniera
lì dentro, è quella
l’aula scolastica, il

vuoto nella lezione,
è quella la mia anima
che gradualmente coi suoi
diecimila adattamenti

alla sua crescente
assenza si schiude
lontano? È cieca?
Mi tocco il viso che

scompare sul vetro che
non scompare. Non fermarti
sibila la mia mente,
non fermarti per

nulla.

*

INTRAVEDO L’ISTANTE

indimenticabile anche se poi ho a malapena notato il verde
ripiano di maiolica
proprio sopra di me a destra nella doccia scintillante, poco sopra i miei occhi
aperti, una finestra quadrata, & il bordo sottile giallo limone
dove poso, delicatamente, questa prima manciata di capelli – la rivedo ancora –
il vetro della finestra – che fa entrare e uscire ogni cosa che
vuole passare –
così liberamente – gocce di vapore della doccia,
lo scivolare del per sempre & per
sempre giù lungo il
vetro, dove, oltre il grumo ancora umido, tutto sembra brillare e
mormorare è solo un giorno, solo questo giorno, un altro giorno, pieno di
questo suo minuto, questo minuto spezzato, in cui se
ora mi protendo posso sentire
gli anni, la loro frattura,
queste frazioni qui dentro
l’istante – oh mie – quanto mie – ora muovendosi così
diversamente, come entrassero in una stanza con dita congelate e dicono
no, no non puoi riscaldarle qui
al fuoco
non c’è nessun fuoco, non c’è nessuna
stanza, non c’è proprio nulla, anche se puoi
iniziare a incidere il nulla, mettere la tua forza alla prova
contro il nulla, il tema è
la perdita, il buio è dentro la tua
bocca aperta non sapendo che altro c’è ancora da
dire, un tipo di urlo senza
dolore, nessuno stupore, nessuna
saggezza, solo l’assenza di spazio in questo tuo improvvisamente –
improvvisamente tutto, improvvisamente non c’è più nulla di quello che
c’era, improvvisamente non muori di paura hai solo paura, improvvisamente
non c’è la cosa giusta o sbagliata la tua mano
un artiglio pieno di capelli non c’è
purificazione da nessuna parte mentre la doccia scorre cercando
vuoti, più vuoti, questo filo dell’unico
ciclo d’acqua trascinato
qui per
scorrere su di me, rastrellare
il mio collo magro & giù dentro di me dove
alzo lo sguardo, apro
la bocca – per urlare cantare dire la sola
parola giusta – mentre ora arriva
un’altra morbida
manciata, una tale sorpresa, mentre sollevo la
mano, in alto, piena, verso il ripiano, per ammucchiarla lì – & cosa
farai
ora, puntando lo sguardo su quei filamenti, i tuoi anni dell’avere & non
sapere, ancora bagnati, in grumi, su cui ora si riversa la luce
del giorno,
anche se non riversa proprio nulla o
proprio in nulla perché è solo il pianeta
che gira e rigira dentro e fuori del
buio che in effetti non è buio
affatto.

*

ARCO TEMPORALE

(…)

La mia vita sta passando, pensavo. Sono impreparata. Mi scorre fra
le dita. Il vento
è sempre forte. Le ossa a volte mi fanno male
dandomi dolore. Non è terrore.
Tocco le monete in tasca.
Non ho tempo per prepararmi.
Sono a mio agio.
Il tempo passa e sono sempre qui.
Me la cavo. Sostituisco
un calendario con un altro. Metto fuori becchime
per gli uccelli e ogni tanto
ne arriva uno. Una volta ne ho visti due.
Il ragno è sempre qui. Ricordo come le anatre
volavano lassù. Significava qualcosa.
Ricordo quando c’erano gli aeroplani
& li vedevo lassù afferrare la luce. Un
paradiso. Alcuni di noi avevano
abbastanza. Non erano felici ma erano
capaci di andare e venire
a piacere.
Potevano lasciare
la casa. In ogni momento. Ogni momento. E andare
dove volevano. A volte
condividevamo idee.
Riempiva il tempo. Eravamo d’accordo oppure no.
Non avevano paura. Io non avevo
paura. L’estate arriverà presto.
Farà più caldo. Pioverà troppo forte?
Quando si allagava rimettevamo a posto.
Facevamo com’era opportuno fare.
Salve vicino dicevamo oltre il recinto
a chi curava la sua porzione del
disastro.
Sarà presto di nuovo tutto ok,
uno di noi diceva. Ci era permesso di
parlare allora. Era permesso.
Uno di noi poteva sognare. Uno di noi poteva
disperarsi. Ma insieme ripulivamo
dai detriti & il giorno dopo arrivava il sole
& potevamo ancora gioire nei suoi raggi
finché i nostri cuori lo desideravano.








Nata a New York nel 1950, Jorie Graham è cresciuta in Italia, a Roma. Ha studiato alla Sorbona a Parigi e negli Stati Uniti, dove da due decenni insegna scrittura creativa all’Università di Harvard ricoprendo il ruolo che fu del poeta irlandese, e premio Nobel, Seamus Heaney. Ha pubblicato 13 raccolte di versi e nel 1996 le è stato assegnato il Premio Pulitzer per la poesia. In Italia ha vinto il premio Nonino nel 2013 e il premio Ceppo Internazionale Bigongiari nel 2014.










Fotografia in copertina di Brooke Balentine (particolare)