Immagine: Kaoru Yamada
SILLABARI
Rubrica a cura di Silvia Rosa
OLTRE | CARLA CENCI
“Oltre” è la parola che può ben esprimere la tensione metafisica ed esistenziale del libro “L’angelo altrove”, nel tentativo insito nelle poesie che lo compongono di evocare quell’esperienza che sorge quando, in un qualche momento di prodigio, intuiamo che la realtà si dà a noi nella densità di un significato importante solo in quanto “segno”, in quanto ontologica espressione di ciò che le è connaturale come “Altro”. Eugenio Montale esprime bene la valenza ontologica della realtà come segno negli ultimi versi della poesia Maestrale: “sotto l’azzurro fitto / del cielo qualche uccello di mare se ne va; / né sosta mai: ché tutte le cose pare sia scritto: / più in là.” Ma prima ancora fu Giacomo Leopardi a descrivere l’esperienza della realtà in un costante rimando a ciò che è altro, riservando a essa anche una forte rilevanza salvifica: “All’uomo sensibile e immaginoso, che viva, come io sono vissuto gran tempo, sentendo di continuo e immaginando, il mondo e gli oggetti sono in certo modo doppi. Egli vedrà cogli occhi una torre, una campagna; udrà cogli orecchi un suono d’una campana; e nel tempo stesso coll’immaginazione vedendo un’altra torre, un’altra campagna, udrà un altro suono. In questo secondo genere di obbietti sta tutto il bello e il piacevole delle cose. Trista quella vita (ed è pur tale la vita comunemente) che non vede, non ode, non sente se non che oggetti semplici, quelli soli di cui gli occhi, gli orecchi e gli altri sentimenti ricevono la sensazione.” (Zibaldone, 30 Novembre 1828) Possiamo pensare alla stretta relazione con ciò che ci è “oltre” come connaturale alla nostra esistenza, non solo in quello che esperiamo attraverso le cose, ma anche noi stessi, le nostre azioni, i pensieri, i ricordi, tutto quello che costituisce la nostra vita interiore, tutto di noi comprendendolo come ininterrotto dialogo e rimando, tutto continuamente fondato su una relazione osmotica con ciò che lo trascende. Basterebbe per capire come anche la circostanza più inappariscente e quotidiana, anche le persone che vediamo ogni giorno e che per abitudine da tanto non vediamo più, il significato irripetibile di ogni momento a cui nella fretta, nella dimenticanza e nella superficialità non facciamo caso, possono invece darsi a noi come occasioni di varco verso la trascendenza di significati ulteriori, nel sentimento misterioso di un punto di incontro del finito con l’infinito. A ciò occorre uno sguardo non più disabituato a essere ciò che dovrebbe, ossia atto capace di cogliere la nostra relazione con il “più in là” ricordato da Montale o, come sperava Leopardi, ricettacolo mai stanco del doppio che si cela ovunque, fino a comprendere esso stesso come “segno-di-Altro”, perché anche l’atto del guardare nasce da una relazione che lo trascende, di cui è impastato e da cui trae inizio.“Oltre” quindi non solo quel che semplicemente pensano come “di là”, ma anche tutto quello che possiamo intendere come “di qua”, costituendoci in ogni direzione in quanto origine, fatto nativo e intera appartenenza ad un mistero relazionale indelebile.
Da L’angelo altrove (Edizioni Controluna – Lepisma Floema)
Aldilà
Tutti i palazzi sembrano inclinarsi
da un aldilà di perdite
sopra levati da un miscuglio di ferro
e cemento disamorati.
Ma io li ho compresi in questi occhi tenuti
nella domanda di un arcobaleno.
Così vivono nel passo di un uomo
o con la faccia magra di un bambino
si fermano a ricordare dai vetri
il temporale,
risuonano in quel pendolo di bocche
sedute ai portoni a mangiare
il panino di un altro aldilà.
Oltre
Stasera nel cemento del garage
quale viso di canto chiaroscuro
mi dici, dal tuo magro nella nube
della voliera, piccolo uccellino
di poco sporgendo alle lamiere.
La madre a un ramo, un sogno senza becco
per gli insetti nell’ostia delle foglie
una volta diversi da mangiare…
Ma forse è oltre il tuo essere vero.
Dall’apparente gabbia ti ho incontrato
un giorno, lungo una via remigante
azzurra, di mutevole arruffarti
nella mola dell’ombra vivo e morto,
seminascosto passero burlone.
Fessura
Ci sarà una risposta nelle cose
che fanno luce proprio quando dicono
la crepa di un addio, una fessura
mai prima nata e ora in noi una strada
di spazio oltre le due dimensioni
per dirci la terza, dimenticata.
Dalle foglie delle azioni distratte
una porta sull’esistere del nulla,
accesa chissà come nel mistero
di un volto, conosciuto quando muore,
e di sentirlo insieme in una stanza
offerta, irrestringibile.
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Carla Cenci , romana, di formazione filosofica, ha partecipato alla vita culturale della sua città con collaborazioni redazionali, articoli e recensioni. Studiosa di comunicazione visiva, ha pubblicato il testo Immagine e visione (Universitalia, 2014). Le sue poesie sono presenti su riviste e in sillogi frutto del riconoscimento conseguito nella partecipazione a concorsi letterari.
