Qual è il seme da cui è germinata la tua poesia?
Più che da un solo seme credo che la mia poesia sia nata in mezzo a un prato. In un luogo dell’anima in cui rivedo mia madre regalarmi libri su libri, mio padre leggermi le fiabe di Luigi Capuana e tante persone attorno a me che narravano di sé. Di quello che avevano vissuto, realizzato o perduto. Il modo in cui lo facevano, spesso denso di immagini, di metafore, le canzoni popolari che cantavano, mia nonna materna soprattutto, è stato questo l’inizio del mio occhio. Poi la scuola, certo, dove la mia generazione certe poesie le imparava a memoria e a me questo piaceva, mi riempiva, lo fa ancora oggi, di una musicalità che credo mi accompagni anche nel mio andare come autore. Un andare che ha preferito il verso libero, certo, ma nel quale ho cercato sempre la musica, il ritmo. Poi ci sono stati certi cantautori. E il punk. L’idea, in cui credo ancora saldamente, che una tecnica alla fine magari la impari pure, ma il resto no. Il resto è ascolto, condivisione, anche rabbia se serve. Un immedesimarsi nelle vite che stanno attorno. La mia poesia, lo dico spesso, io la trovo tra la gente. Nel fluire delle cose di cui faccio parte. Un fiume colorato in cui mulinano felici tante lingue. Il friulano, con il suo ritmo antico eppure mai stanco, col suo essere sfida continua all’omologazione, ha rinforzato e di molto la mia intenzione di frequentare le faglie. Di stare via dalle accademie. Dalle vanità. E questo, sì, è un seme. Un rizoma.
Quale la sua genesi nel tempo?
Come dicevo io sono nato con il punk. Nel punk. In quell’idea di fare e dare un mondo nuovo. Di stare in uno spazio alternativo, che manipolava in maniera orizzontale, creativa e ribelle, anche una certa idea della poesia. Ho iniziato così, scrivendo testi per una band, per cantarli. Poi, nel tempo, senza mai perdere di vista questa radice, ho sentito il desiderio di camminare avanti, di provare a mettere insieme uno stile che mi somigliasse. E allora da un inizio diciamo così, molto urgente, mi sono ritrovato a frequentare forse un certo post-ermetismo per poi arrivare a un approdo più narrativo, a volte forse anche filmico. A un racconto per emozioni, per inquadrature. Di certo sono passato attraverso un momento in cui sentivo molto presente in me l’idea di meticciare felicemente la mia lingua poetica. Di scrivere versi in cui il friulano si mescolava per suoni e visioni all’inglese, all’italiano. È un momento che ricordo con grande gioia, la mia avventura come spoken poet, come performer è nata lì e lì ho fatto parte di esperienze collettive a cui devo molto, come Usmis ad esempio. Ed è stato più o meno in quel momento che sono tornato alla musica. A lavorare come autore di testi per musicisti straordinari come Lino Straulino e band di gran talento come i Luna e un Quarto.
Quali i poeti che negli anni hai sentito più affini alla tua sensibilità?
Sono stati e sono ancora tanti; nominarli è difficile, Si rischia sempre di tralasciare qualcosa di importante e di unico e, nell’economia di questa domanda, pure di separarsi da qualche parte della propria esperienza. Certo, è una domanda bellissima, mi dona l’occasione di parlare di Rimbaud. Che è stato il mio inizio, la molla. Quel suo ubriacare battelli, mescolare colori, quella sua scrittura, che è prima temporale e poi quiete, che coglie il giorno un attimo prima della notte, nomina la vita con una chiarezza visionaria a cui mi sono sentito spesso affine. E di certo Claudio Lolli. Il suo lavoro, che scuote l’anima, filosofeggia, racconta, s’indigna e prende posizione, senza dimenticare mai nemmeno per un attimo il bene supremo della poesia, è un cerchio nel quale sento di riconoscermi, di poter provare a stare. Poi Srečko Kosovel, Izet Sarajlić e i grandi maestri del secondo novecento friulano come Luciano Morandini, Amedeo Giacomini e Leonardo Zannier. Federico Tavan. Immancabilmente Giacomo Leopardi e Ugo Foscolo. Alcuni autori della mia stessa generazione della nuova poesia slovena. Dino Campana, Franco Fortini, Gianni D’Elia, Annie Sexton, Federico Garcia Lorca. Potrei continuare ancora ovviamente, ma per ora mi fermo qui.
Ti ritrovi nella riflessione, trascritta di seguito, di Giacomo Leopardi?
“Felicità da me provata nel tempo del comporre, il miglior tempo ch’io abbia passato in mia vita, e nel quale mi contenterei di durare finch’io vivo. Passar le giornate senza accorgermene, parermi le ore cortissime, e maravigliarmi sovente io medesimo di tanta facilità di passarle. (Giacomo Leopardi, Zibaldone, 4417-18, 30 novembre 1828)
Sì. Soprattutto se penso al verbo comporre come a un verbo della raccolta, del mettere accanto steli destinati a un mazzo di fiori, a un covone di fieno, al farsi progressivo di una tessitura. Per me, quando scrivo, è questa la parte più bella, più felice. È’ un po’ come per un fotografo. Più che la camera oscura amo l’inquadratura. L’attimo in cui qualcosa o qualcuno mi spinge a scattare la foto, a provare empatia per ciò che accade o mi pare accadere o non accadere davanti ai miei occhi, Ciò che mi spinge a scrivere sposso è proprio il tratto che manca a quel ritaglio di realtà dal quale mi trovo a passare. La carezza non data, una mela che passa di mano, il pane condiviso o meno, la fretta con cui si consuma un attimo, che invece doveva durare. Scrivere è quindi questo, almeno per me. Comporre ciò che senza la poesia magari si separa, va perduto. Farlo con gioia, proprio come diceva Leopardi. Scongiurare in versi, musica e bellezza, lo sfrangiarsi del tempo. Fare in modo che il mondo salvi la poesia.
Maurizio Mattiuzza, scrittore e poeta Premio Alda Merini 2017 e Premio Carlo Levi 2016 ha pubblicato diverse raccolte di versi con note critiche di Luciano Morandini e del cantautore Claudio Lolli. Premio Laurentum 2009 per la poesia in lingua italiana. Ha lavorato come paroliere per il cantautore Lino Straulino, firmando come autore Tiere Nere, unanimemente riconosciuto come uno dei dischi fondamentali della nuova musica in lingua friulana e diversi altri brani. Coautore con Renzo Stefanutti di una delle canzoni finaliste della sezione musica d’autore del Festival di poesia di Genova, conta traduzioni in diverse lingue europee e partecipazioni a prestigiosi festival internazionali a fianco di nomi di primo piano della poesia mondiale. Tra parole e musica ha lavorato poi con la band dei Luna e un Quarto con la quale ha pubblicato “Oggi è sabato sera”, una ballata dedicata alla figura di Primo Carnera musicata da Jacopo Casadio e divenuta poi la trama di un concerto-recital teatrale per la regia di Carlotta Del Bianco con i contributi visual art di Massimo Racozzi e Fabio Babich. Con il libro “La donna del Chiosco sul Po”, già Premio InediTo Colline di Torino ha raggiunto la terzina finalista del Premio letterario nazionale Mario Soldati. “La Malaluna” (Solferino Libri RCS Mediagroup Milano), suo primo romanzo, accolto con ottimo favore di pubblico e critica, è stato inserito, in una posizione di alto rilievo, nella classifica di qualità 2020 de “La Lettura”, supplemento cultura del Corriere della Sera. Alla Malaluna sono stati inoltre assegnati numerosi riconoscimenti nazionali tra cui il premio Etnabook Catania opera prima e il Premio Città di Cuneo. Da Gennaio 2024 è in libreria come sceneggiatore e autore, su disegni del fumettista Fabio Babich, (attivo anche con Bonelli Editore per la serie Drago Nero), con la Grapich Novel “Quel Pane Nascosto. Un fumetto che narra la vicenda di Anna Ragusa Venuti “Del Popul” deportata gradiscana sopravvissuta ai campi nazisti di Auschwitz e Flössenburg.
Nel novembre 2021 la Presidenza del Consiglio dei Ministri, nella prestigiosa cornice di Palazzo Chigi in Roma, ha insignito la Malaluna di Maurizio Mattiuzza del Premio Giacomo Matteotti sezione opere letterarie e teatrali.
