Kierkegaard su Hegel
Kierkegaard diceva di Hegel: ricorda qualcuno
che erige un enorme castello, ma vive
in una semplice capanna, lì nei pressi.
Così l’intelligenza abita in una modesta
stanza del cranio, e quegli stati meravigliosi
che ci furono promessi sono ricoperti
di ragnatela e, per ora dobbiamo accontentarci
di una angusta cella, del canto del carcerato,
del buon umore del doganiere, del pugno del poliziotto.
Abitiamo nella nostra nostalgia. Nei sogni si aprono
serrature e chiavistelli. Chi non ha trovato rifugio
in ciò che è vasto, cerca il piccolo. Dio è il seme
di papavero più piccolo al mondo.
Scoppia di grandezza.
*
Veduta di Delft
Case, onde, nuvole e ombre
(tetti blu scuro, mattoni bruni)
infine siete diventate solo sguardo.
Quiete pupille degli oggetti,
indomite, rilucenti di nero.
Sopravviverete alla nostra meraviglia,
al nostro pianto, alle nostre fragorose, infami guerre.
*
Dalla vita degli oggetti
La pelle levigata degli oggetti è tesa
come la tenda di un circo.
Sopraggiunge la sera.
Benvenuta oscurità.
Addio, luce del giorno.
Siamo come palpebre, dicono le cose,
sfioriamo l’occhio e l’aria, l’oscurità
e la luce, l’India e l’Europa.
E all’improvviso sono io a parlare: sapete,
cose, cos’è la sofferenza?
Siete mai state affamate, sole, sperdute?
Avete pianto? E conoscete la paura?
La vergogna? Sapete cosa sono invidia e gelosia,
I peccati veniali non inclusi nel perdono?
Avete mai amato? Vi siete mai sentite morire
quando di notte il vento spalanca le finestre e penetra
nel cuore raggelato? Avete conosciuto la vecchiaia,
il lutto, il trascorrere del tempo?
Attraverso il silenzio.
Sulla parete danza l’ago del barometro.
*
Giardino d’inverno
In questa piccola città nera, la tua città,
dove anche i treni si fermano senza voltar la testa,
senza distogliersi dai destini finali,
nel parco, a dispetto di ombre e caligini,
c’è un grigio edificio dall’interno perlato.
Dimentica la neve, i duri attacchi del gelo,
qui ti accoglie l’umida antologia dell’aria tropicale
e il misterioso fruscio di foglie smisurate
avviluppate come pigri serpenti –
neppure un egittologo saprebbe decifrarle.
Dimentica la tristezza delle strade anonime e degli stadi,
il peso delle domeniche riuscite male.
Accogli il respiro caldo che soffia dalle piante.
Un profumo lieve di lampi scoloriti
ti avvolgerà, ti condurrà laggiù, lontano.
Forse vedrai le vele rugginose di navi all’ancora,
isole ricamate di nebbia rosa, torri di templi diroccati;
vedrai ciò ch’è perduto, ciò che non c’era,
ma pure quanti vivono la tua
stessa vita.
Vedrai d’un tratto il mondo sotto una diversa luce,
i cancelli di case estranee per un istante si apriranno,
i pensieri nascosti diverranno visibili, le feste meno fastidiose,
la gioia altrui sarà più comprensibile, più belli
i volti.
Dimentica te stesso, lasciati abbagliare dall’incanto,
dimentica tutto e forse tornerà una memoria
più profonda e una più profonda fratellanza,
e dirai: non so, non so com’è successo – le palme hanno aperto il mio avido cuore.
*
La fiamma
Signore Iddio, dacci un lungo inverno,
una musica sommessa, labbra pazienti,
e un po’ d’orgoglio – prima
che finisca il nostro tempo.
Dacci la meraviglia
e una fiamma, alta, chiara.
Nota bio/bibliografica di Adam Zagajewski su Wikipedia.org

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