A tu per tu (IX): Mary Barbara Tolusso

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Qual è il seme da cui è germinata la tua poesia?

«Credo sia stato Alfonso Gatto. Sto parlando di secoli fa. Frequentavo le scuole medie inferiori, forse avevo dodici anni. Ricordo che la professoressa lesse in classe la poesia A mio padre di Alfonso Gatto, appunto. Per me fu una folgorazione. A casa ripresi in mano l’antologia e mi misi a leggerla a voce alta, una, due, tre, quattro volte. Ritmo, figure retoriche, non mi capacitavo del fatto che accostando le parole a quel modo si evocassero immagini così potenti. Iniziò lì la mia curiosità».

Quale la sua genesi nel tempo?

«Con l’adolescenza, come capita spesso, ero attratta dai simbolisti, quindi prima Baudelaire, poi Rimbaud, amavo anche Campana, diciamo che amavo i visionari. Naturalmente non si trattava di una ricerca strutturata, non avevo un metodo. Solo durante i primi anni universitari iniziai a leggere i poeti contemporanei, quindi il prosieguo di quella storia letteraria che al liceo si ferma a Montale, nella maggior parte dei casi. Mi attraeva e mi attrae una sorta di poesia del quotidiano, ordinaria. Mi interessano le piccole, grandi gioie e tragedie che ci investono, i luoghi comuni, le ipocrisie che mettiamo in campo nei confronti di noi stessi, l’evolversi della società. Pensa solo a qual era trent’anni fa la sensibilità nei confronti degli animali o come si è “allargata” la famiglia. Sono meno interessata agli aspetti civili, se così si può dire. Ho sempre pensato che non siano affatto “epocali”, che siano transitori. Non mi interessano. E poi non ho fatto la guerra, non ho patito la fame, non ho rischiato di morire in un campo minato. Per me di certe faccende può scrivere solo chi ha vissuto quei drammi, per noi inimmaginabili».

Quali i poeti che negli anni hai sentito più affini alla tua sensibilità?

«Alcuni li ho già citati, tendenzialmente chi riesce a farti apparire straordinaria la realtà ordinaria: da Maurizio Cucchi a Mark Strand, da Milo De Angelis, Vivian Lamarque a Sylvia Plath. E poi Eliot, Szymborska, Raboni, Giudici. Vorrei citare anche gli autori più o meno giovani che, con il pretesto dell’età, vengono spesso discriminati. Quindi Silvia Caratti, Alberto Pellegatta, Francesco Maria Tipaldi e Federica Gullotta. Questi sono i poeti con cui mi confronto, che tengo d’occhio, diciamo».

Ti ritrovi nella riflessione, trascritta di seguito, di Giacomo Leopardi?

Felicità da me provata nel tempo del comporre, il miglior tempo ch’io abbia passato in mia vita, e nel quale mi contenterei di durare finch’io vivo. Passar le giornate senza accorgermene, parermi le ore cortissime, e maravigliarmi sovente io medesimo di tanta facilità di passarle.

(Giacomo Leopardi, Zibaldone, 4417-18, 30 novembre 1828)

«Potrei dire di sì, esiste e ho provato una forma di felicità nella scrittura ma, se devo essere sincera fino in fondo, mi capita con maggiore intensità nella produzione in prosa, forse perché scrivere narrativa è faticoso, occorre più disciplina, più sacrificio».






Mary B. Tolusso vive tra Milano e Trieste. Laureata in Lettere, svolge l’attività di giornalista.  È autrice dei romanzi L’imbalsamatrice (Gaffi, 2010), L’esercizio del distacco (Bollati Boringhieri, 2018) e delle raccolte poetiche L’inverso ritrovato (Lietocolle, 2003), Il freddo e il crudele (Stampa, 2012), Apolide (Specchio-Mondadori, 2022). È presente in antologiche tra cui I mari di Trieste (Bompiani, 2015), Poeti dopo il Duemila (Mondadori, 2017), Poesie dell’Italia contemporanea (Il Saggiatore, 2023). Ha ricevuto il Premio Pasolini (2004), Premio Fogazzaro (2012), Premio Internazionale Moncalieri (2023) Premio Acqui Terme (2023).

Fotografia in copertina di Dino Ignani.