A ogni cosa che non sia
guerra amore pace estraneo
vado per le vie battute di fatica.
Così sono escluso dalla vita
e della vita prigioniero.
Nei sereni giorni e nelle lotte
porto il sangue come una reliquia.
Volti e voci hanno i giorni lontani:
non mi ci soffermo che per poco.
Allora le strade a lungo andare
diventano il mio unico pensare
e sulle strade si svolge una vicenda
di voci che rimandano alla morte
ai luoghi alti di un perdono.
(di Roberto Rebora, da “Poesie (1932-1991)”, a cura di Amedeo Anelli, Mimesis Edizioni, 2021, p. 63)
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Saluterò di nuovo il sole
Saluterò di nuovo il sole
e quel fiume che mi scorreva dentro
e le nuvole, miei lunghi pensieri,
e l’amara crescita dei pioppi in giardino
che trascorsero con me aride stagioni,
gli stormi di corvi recanti in dono
l’odore notturno dei campi
e nello specchio, mia madre,
a riverbero della mia vecchiaia,
saluterò di nuovo la terra che in verdi semine
nel suo caldo ventre covava la mia rinascita.
Vengo, vengo, nei capelli:
continuità di odori sotterranei,
negli occhi: dense esperienze di oscurità.
Vengo, vengo,
con cespugli di bosco colti al di là del muro,
e la soglia si riempie d’amore,
e sulla soglia, io,
saluterò di nuovo quelli che amano
e la ragazza ancora ferma là,
nella soglia colmata d’amore.
(di Forugh Farrokhzād, da “Poeti iraniani dal 1921 a oggi” (Mondadori, Lo Specchio, 2024, a cura di di Faezeh Mardani, traduzioni di Faezeh Mardani e Francesco Occhetto, p. 165)
In copertina, di Andrew Wyeth, Girasoli, c. 1982
