Da Poesie (Jaca Book, 1991)
Annotazione nell’argento del mare
Ed eravamo anche così terribilmente vicini
Al paese natio,
subito dall’altra parte
Dell’aria assottigliata; origliavamo
Veloci parole alate, il senso indovinato
Nella traduzione maldestra del fulmine;
Spaventati, fuggivamo nell’inganno
Del tempo, nell’equilibrio menzognero –
Quanto di essenziale ricordiamo sono immagini al risveglio:
Il castagno e il caprifico, la lenta fiamma
Fra le rovine,
e quanto chiamiamo ricordo
Splende in cima a un lungo ago lucente
Dove il sapore del fuoco si mesce col silenzio
Nell’aria sopra l’argento labile
Del mare fra due tempeste.
*
Bisanzio VII
Qualcuno, forse, nella sapiente compagnia di anime nostre
Passeggerà un giorno sopra il filo di queste mura dove abbiamo
Guardato il sole pieno di rame chino sulla misura della notte;
Secernerà il mare argento e ondate sulla ghiaia
Abbracciata di futura tenerezza; l’aria sarà turchina
Del fumo dei nostri nomi:
ma chi ci capirà?
Perché sarà spostato il centro, le immagini diverse,
– unite forse con lo stelo: forse il fiore –
E le azioni di amore unite nel discorso, nella lingua;
Ma chi allora vorrà comporre il racconto
Da queste sillabe sparse, dai gridi
Ritratti a caso in un vetusto specchio,
Nel muoversi dell’onda? E perché?
E c’è domani posto per questa rottura
Nel tranquillo ricordo degli angeli, nel liscio
Ricordo di acqua giovane? Nel ricordo dell’amante?
E ci vorranno forse i quadri traditi
Del nostro amore, e guardie nel deserto
Con sabbia nei polmoni, questa lingua scarsa di sventura
Rapida pena alla maturità, sconfitta decretata?
O sarà senza noi più preciso l’equilibrio,
E più bella senza nostre voci la lingua degli amanti
Miste con la morte come il vento con la fiamma,
Come la sorgente con la foce?
*
L’osservatore di gabbiani
Esco ogni mattina sullo stesso promontorio, ad osservare
I gabbiani, beccoaguzzi e luminosi
Nell’aria sopra il mare, in faccende quotidiane;
Ho molto appreso la geometria di fame
Nel volo delle ali a sestante, la paura
Dell’argentea carne della vittima nell’attimo
Di nozze d’acqua e di piume, la forma del vuoto
Visibile un istante nei fili spezzati dell’aria
Che lega l’apice dell’ala seguente
In simile, esatto movimento;
gli anni
Passano in siffata osservazione, e tuttavia
Il quadro è incompleto,
E il suo centro sembra cadere sempre più
Profondamente nel futuro, nell’oscuro nadir
Del mio ricordo sempre più luminoso del primo
Andare sulla punta, fra i gabbiani.
Ancora non so chi io aiuti così
A raccogliere i frantumi del mondo –
Piuma di gabbiano, piuma di angelo, questa parola…
*
Terrazzo II
E di nuovo le petunie sul terrazzo,
Come bandierine sulla mappa di lunga battaglia
In cui viene sconfitto un inverno ostinato;
E fiori azzurri di cui non so il nome,
Come non so dove sia il centro
Di una povera felicità la quale, ecco, si allarga
In cerchi, lentamente, e ne tremola l’aria
Farcita d’uccelli, e le foglie dei rampicanti
Dagli orli tagliuzzati,
come dalla musica,
Come dall’attesa, come dal vento,
Ma non c’è vento –
Molto, tremendamente molto
Vorrebbe stare, ma non può,
In questo unico istante, che ho tentato,
Come disse l’antico scrittore,
Cantare ragionevolmente e con amore.
Ivan V. Lalic è nato a Belgrado nel 1931; è uno dei massimi esponenti della grande fioritura della poesia serbo croata che si rivela tra il 1951 e il 1955, con il risveglio della cultura jugoslava e in coincidenza della caduta, a livello di politica culturale, del dogmatismo stalinista e del realismo socialista. Il poeta muore nel 1996.
Fotografia in copertina di Luca Pizzolitto
