Extra verso (IV) – Mauro Liggi

Autore/a cura di:

Di seguito potete leggere un’intervista a Mauro Liggi, medico, poeta e fotografo, residente a Cagliari. Le domande a lui rivolte prendono spunto dalla lettura della sua ultima silloge, Alla terra i miei occhi (Interno Libri Edizioni, 2024) prefazione di Anna Segre. Ringrazio molto Mauro per la sua generosa collaborazione, è stato un piacere.

1 . Il peso dell’omogeneizzato sul cucchiaino /  del sistemarti il cuscino / dopo l’ultima cannuccia.” Sono tre versi molto intensi e dolci, scritti da chi è abituato a soppesare tutto, a dosare, a prendersi cura. Cosa si può imparare a prendersi cura degli altri?

R Si imparano tutte le cose che disimpariamo crescendo, o vivendo vite frenetiche e distratte che non ci concedono pause per l’essenziale. Prendersi cura richiede silenzio, ascolto, sguardi, vuoti, spazi in cui ci si scopre persone unicamente e solo persone, prive di aggettivi, di giudizi o pregiudizi, di cassettini che usiamo per dare ordine alla complessità e trovare giustificazioni assolutorie. Prendersi cura degli altri è prendersi cura di noi stessi, dare acqua alla parte migliore di noi, a quel seme che dimentichiamo e che fa lievitare il tempo che ci resta.

    2. Riporto per intero la poesia a pagina  52 e ti chiedo: come è vedere l’inizio del giorno in un ospedale? Cosa si percepisce, in quelle stanze, all’alba?


    Con quale pudore l’alba
    abbraccia gli ospedali
    rallenta il vento
    sulle vetrate
    tra le vite che intravede.
    Il vagito di un bambino
    il sudore della madre
    il porta pastiglie
    il sonno di chi trattiene
    l’ultimo alito al cielo
    rosari in cappella.
    Che tenerezza l’alba
    che invade gli ospedali
    esitante
    come la vita
    che muore
    e dopo la morte
    la vita.

    R L’alba è diversa negli ospedali, il sole che lento fende le luci al neon illumina piano volti dolenti, corpi allo stremo, lo stesso sole, la stessa luce su tanti dolori, troppi, inaccettabili, con cui venire a patti, che svegliano o non fanno dormire. Sono albe di insonni, di chi sente la morte vicina, di chi chiude gli occhi per conservare quel bagliore dolce e sospirare per continuare la lotta o abdicare, lasciarsi andare all’oltre. È speranza e condanna, è sospiro e rantolo, è pace e disperazione. Ogni alba raduna una comunità di crocefissi con un filo sottilissimo che li lega loro malgrado ad un nuovo giorno da vivere insieme senza paracadute.

    3. ”Nella stanza dove ti ho visto morire / ora piange un bambino / nel letto del tuo rantolare / una madre lo allatta al seno”. E ancora: “Vita e morte / non si conoscono / ma si inseguono su quel sellino / e vicino al traguardo / si abbracciano…”. Partendo da questi tuoi versi, ci puoi dire in che modo si inserisce, per te, la vita nella morte?

    R Non so rispondere a questa domanda. Non c’è vita che possa sopperire, dar senso, riscattare la morte. La morte è definitiva, un punto esclamativo a cui noi, per poter sopravvivere, ci inventiamo un poi, un significato, spesso di circostanza con cui tenere vivi in svariate forme chi non c’è più. Ma per quanto mi sforzi, il vuoto di chi manca mi insegue, mi abbraccia o mi schiaccia, vive a sprazzi nei ricordi ma l’odore, il sapore, gli occhi, le parole, le mani non saranno più alla mia portata e rimpiango quante volte avrai dovuto tenerle con me e pensavo che il loro esserci fosse per sempre, dovuto, eternamente lì, per me.

    4. Sono rimasta molto colpita dalla chiusa della poesia a pagina 38: “Allontana l’alba / perditi in altre vite / per onorare la tua”. Potresti dirci qualcosa a proposito di questi tre versi? In particolare, cosa significa in questo contesto la parola “perditi”?

    R L’esperienza del perdersi è catartica. È fondante del mio vivere, volente o nolente. Spesso mi perdo per scelta altre forzatamente. Dover trovare costantemente la strada, ripensarmi, perdonarmi, nel cammino abbandonare le zavorre dell’inadeguatezza, del senso di colpa, del sentirsi sbagliati. Vagare senza bussola e sentire da lontano un amore che chiama, che ti aspetta, che ti accetta, che ti accoglie per quello che sei diventato o non eri più, non sarai per sempre. Mi hanno sempre colpito le riflessioni di Maria Zambrano sul perdersi e adoro il canto sullo smarrirsi anche come ribellione al mondo di Marina Cvetaeva “La mia strada non passa vicino alla-tua casa./La mia strada non passa vicino alla-casa di nessuno./E tuttavia io smarrisco il cammin/(specialmente di primavera!)/e tuttavia mi struggo per la gente/come il cane fa sotto la luna.”.

    5. Anna Segre nella prefazione al libro scrive: “Quest’ostinazione alla verità rende lineari e diretti i suoi versi, ma non per questo meno distillati, potenti”. La tua scrittura, in effetti, rivela una grande attenzione, una cura estrema nella ricerca del lessico. Quanto è importante la scelta delle parole, e più in generale del linguaggio?

    R Questo è un argomento che mi sta molto a cuore e che è secondo me molto sottovalutato nella sua importanza sia a livello creativo sia a livello sociale. Il linguaggio è il collante di noi stessi, della nostra identità, del nostro parlarci e parlare, ed è il mastice che tiene insieme una comunità che si riconosce ed entra in relazione attraverso il linguaggio. Quando le parole perdono di senso, diventano ostaggi del potere, diventano armi da lanciare, si sfibra il nostro dirci e il nostro poterci confrontare con gli altri. Non trovo modo migliore di spiegare questo concetto se non citando Joe Bousquet  ne “Il silenzio impossibile”: “Il linguaggio non è una vana sequenza di parole, è l’atmosfera stessa dell’anima, un alba che s’illumina, non certo di sole, ma di ciò che la terra dischiude in noi, sul fianco oscuro dello sguardo”. Ecco avere cura del fianco oscuro dello sguardo è il tepore delle parole da rinnovare con devozione, perché la parola ci supera e ci comprende. 


    Dal libro



    Indichi il cielo
    a me, solo a me
    che con il camice bianco
    provo a trattenerti qui
    sfidando il tempo
    la logica
    la scienza.
    Ma tu
    indichi il cielo
    il dito già blu
    perché sai
    quello che anche io so
    tu succo di mela cotogna
    io volto di catrame
    muto è il grazie
    prima del viaggio.
    *


    Nella stanza dove ti ho visto morire
    ora piange un bambino
    nel letto del tuo rantolare
    una madre lo allatta al seno
    un padre è sommerso dalla gioia
    pelle che profuma d’infinito
    nel comodino tra le tue medicine
    calzine celesti tutine colorate
    ciucci giochi che trillano.
    Nel cuscino dove ti ho chiuso gli occhi
    ora mi guardano spalancati
    quelli di un mistero che mi sovrasta
    mi schiaccia, urlante:
    dopo la morte, l’amore per la vita.
    *


    Un giorno un uomo
    vestito come me
    seduto dall’altra parte della scrivania
    -di solito la mia-
    abbasserà lo sguardo
    cercherà parole
    che non sa
    che non può
    che non vuole.
    Io capirò
    prima che alzi gli occhi
    mi porga un foglio

    svanirò
    non sarò più lì
    ma bambino al parco
    che mi do la spinta
    per arrivare a terra.
    *

    Io conosco
    chi abita dietro le persiane abbassate
    la domenica mattina d’estate
    a chi è salita la febbre
    un’ora prima di un appuntamento
    chi domani per quella cena
    peccato, un imprevisto.

    Conosco mille altre scuse
    di chi è chiuso in casa
    buio dentro e buio attorno
    oppresso dal suo dolore.

    Io di quella disperazione e quel coraggio
    ho i segni sulla pelle
    i solchi delle manette
    camicie di forza
    che strette mi bloccano
    vittima innocente
    di una guerra insensata
    tra la ragione e la follia,

    Conosco lo sguardo
    di chi come me
    è solo sopravvissuto
    a una notte di consapevoli tormenti.

    Io che ho provato il sapore amaro
    dell’acqua diluita in gocce oleose
    ultimo rifugio per sprofondare
    in un sonno senza riposo.



    Mauro Liggi, medico, poeta e fotografo di Cagliari. Dall’inizio del suo percorso artistico si è focalizzato sulla street photography, il reportage, la fotografia documentaria, partecipando a numerosi corsi e workshop con i più importanti autori italiani nel settore (Francesco Cito, Valerio Bispuri, Valentina Tamborra). Il suo primo lavoro Finestrini al plasma è frutto della collaborazione con il poeta Andrea Melis. Il reportage sul backstage del Circo Paniko ha prodotto il suo primo libro fotografico Una magica vita. Racconto fotografico degli artisti del Circo Paniko. Collabora con la Mediateca del Mediterraneo per la creazione dell’Archivio fotografico della città. Autore di numerosi progetti di stampo sociale collabora con le scuole per la divulgazione della cultura fotografica. Dal 2020 è collaboratore del settore social della Federazione Italiana Associazioni Fotografiche (Fiaf) e dal 2021 è presidente del Circolo Contrasti Fotografici ed è Delegato regionale Fiaf per la Sardegna.
    Nel 2021 ha ricevuto la menzione speciale per la miglior fotografia al Mia Fair di Milano con l’Associazione Fotografi Professionisti (AFIF) ed ha pubblicato la sua prima raccolta poetica Anima scalza. Le orme della poesia, AmicoLibro edizioni. Nel 2022 ha pubblicato la raccolta poetica Segnali di Fumo, Altromondo Editore. Nel 2024 ha pubblicato la silloge Alla terra i miei occhi (Interno Libri Edizioni), prefazione di Anna Segre.