actinorrize (III) – Paola Loreto

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Ciao Paola, ben trovata. Quando ho avuto la fortuna di parlare con te la costante è che mi fai sempre sorridere molto perché mi trasmetti una gran pace e la calma di un ascolto sincero e aperto. Oltre che una gran curiosità sui vari modi di approcciare le cose. Sia durante la lettura dei tuoi libri che nell’ascolto delle tue presentazioni e dei tuoi speech è lampante che il fare poetico (ma anche critico e di traduzione) corrisponde a un essere in comunione col tutto, con i saperi e con la volontà di comprensione. Un accoglimento globale.
La prima domanda di solito è “cosa stai leggendo” ma per te vorrei declinarla in chi e che cosa stai conoscendo in questo momento?

Sto concludendo il romanzo autobiografico Noi di Paolo di Stefano. È un viaggio onesto – faticoso, a tratti doloroso, ma anche di recupero e riscoperta e comprensione del passato – attraverso una storia familiare, proprio come Miei lari. E per di più ambientato nello stesso paese siciliano di mio padre, Avola, che nomino nella raccolta e che dà il titolo a una plaquette che ho realizzato con Luciano Ragozzino per il Ragazzo Innocuo, Avola (volo), un’anticipazione di due poesie di Miei lari. Paolo riesce a rievocare un mondo e la sua cultura, e a fare rivivere gli affetti e le dinamiche familiari con un’estrema sincerità. Per me, durante la lettura, il meccanismo dell’identificazione era sempre in agguato: il carattere contraddittorio e non sempre facile del padre, forse accentuato dai modelli culturali; quello tenace e accudente della madre, davvero un nume tutelare a protezione della casa. E i sapori e odori della mia infanzia, dai “pipi” arrostiti alle colazioni a base di granita di mandorla, e i colori dai contrasti netti dell’estate assolata del sud (ho cominciato a cantarli in “Sogno di Sicilia”, ne L’acero rosso). E la perdita di un fratello, simile a quella di una sorella, per me. Ha smosso molti ricordi, e confermato molte riflessioni su cosa facciamo, come umani, della nostra esperienza della vita e della morte. Su come a volte ci lascia inermi e su come altre volte ci consente di costruire un senso, almeno per Paolo (credo di poter dire) e per me attraverso la scrittura. Ma penso sia così per chiunque faccia arte.


Per me rappresenti da sempre oltre le definizioni con le quali solitamente si introduce la tua biografia l’eticità del vivere il mondo contemporaneo abitandolo ma anche sentendone il respiro. Cercando il respiro reale. Il che di solito comporta anche una serie di scelte, di esclusione anche. Di selezione, meglio. Una necessità di sostenere ogni singolo gesto nella tessitura più ampia, oltre la singola persona.
Quindi da cosa parti per scegliere un libro? Cosa ti muove a comperarlo? Oppure più semplicemente (ma solo in apparenza): cosa cerchi?

Cerco forme di saggezza, strumenti per comprendere il modo in cui sto al mondo che parlino un linguaggio che comprendo. Ho sempre avuto una pessima memoria, che secondo mia madre non era cattiva ma solo selettiva (mi voleva molto bene…), il che – se io volessi crederle – vorrebbe dire che funziona esattamente come dovrebbe, per servire lo scopo per cui leggo: ricordare solo le idee intuitive essenziali, che servono la vita. Dopo la giovinezza, ho abbandonato l’orgoglio dell’avventura delle idee più astratte e sofisticate per accogliere l’eterno ritorno di quelle poche, universali, che la mia esperienza riconosce come vere. (E che spesso sono anche le più antiche.) Per questo ho comperato, ultimamente, un nuovo libro di Eckhart Tolle (anche se non so se ne abbia scritti che superano The Power of Now), le opere complete di Leonardo Sinisgalli, Polvere profonda neve di Dolores LaChapelle (che mi è stato consigliato), il Lucrezio di Milo de Angelis, The Living Mountain di Nan Shepherd. Dopo aver letto, su dono di Alessandro Giovanardi, un saggio di Sauro Albisani su Cristina Campo, voglio cercare altri suoi libri (ma mi aveva già folgorata Gli imperdonabili) e non ricomprerò ma vorrei rileggere L’idiota di Dostojevski, che ho sempre ritenuto un libro essenziale. Vorrei stare più tempo con le Scritture di quanto non sia mai riuscita a fare. C’è poi un criterio molto più pragmatico, che seleziona i libri che compro: ormai so di avere un tempo finito per leggerli (almeno finché continuerò a lavorare), quindi mi obbligo a comperare solo quelli che so che leggerò. Mi fa tristezza avere una pila di libri sulla scrivania che mi parla della mia finitudine.


Ho avuto la grande possibilità di stilare durante una cena insieme una magnifica lista di autori Americani dei quali non conoscevo neanche il nome per poi cercarli e apprezzarli. Hai tradotto uno dei libri che ho amato nella Bianca Einaudi, immagino quindi che ci siano nelle tue letture tanti autori di riferimento anche non italiani ai quali forse devi passaggi importanti del tuo pensiero e del tuo scrivere.  Quali sono i testi o le figure ai quali ritorni più spesso? Li rileggi ciclicamente? E quale senso ha questo tornare per te?

Anche ritornare ad autori o testi che amo e ho amato e che so che nutrirebbero il mio percorso intellettuale è un lusso che non mi posso permettere finché devo leggere studi di teoria letteraria e critica letteraria per lavoro. (Sono conscia del paradosso che sto esprimendo.) Anzi, ora che mi ci fai pensare, è proprio in questo ambito che rileggo e ritorno! Cioè: mi piacerebbe rileggere Ada, di Nabokov, che ho adorato, ma invece rileggerò, per il corso di Laurea Magistrale di questo autunno, After Babel di George Steiner, che per me è il libro fondamentale per comprendere filosoficamente l’atto del tradurre. Per comprendere, cioè, che parlare è tradurre, comunicare è tradurre, comunque, perché il linguaggio è uno strumento finito che adoperiamo per interpretare i segni. E tornerò alla Métaphore vive di Paul Ricoeur, che insegna cosa sia il linguaggio poetico, come riesca a dire l’indicibile. O meglio, a ripetere all’infinito il tentativo di suggerirlo, indicarlo. Per indicibile intendo ciò che avvertiamo ma non vediamo: quello che intuiamo in maniera diretta, con l’interezza del nostro essere, cioè una cognizione incarnata e situata, ma non abbiamo ancora dispiegato in un pensiero esplicito, consequenziale, lineare, diurno, e che attende l’articolazione del linguaggio. Tra gli autori della letteratura americana a cui tornerei per rileggerli per piacere gratuito ci sono Emily Dickinson, Walt Whitman, William Carlos Williams e A. R. Ammons, perché la poesia parla diversamente a ogni lettura. E Nabokov, per l’appunto, che è una mente geniale, e Steinbeck, e Faulkner. Il senso del ritorno è un’azione di sfrondamento, credo: conferma e rinsaldamento delle idee essenziali e piacere di tornare a casa, in un linguaggio e un universo mentale in cui ti sei resa conto che puoi abitare, a cui appartieni.





Fotografia in copertina di Paola Loreto