A tu per tu (II) – Antonio Bux

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Qual è il seme da cui è germinata la tua poesia?

Il seme dell’ignoranza. Non sapendomi spiegare la vita nelle sue sfumature più profonde, nelle sue continue contraddizioni, ho pensato bene di iniziare a frequentare i misteriosi buchi del linguaggio, dove nasce di solito lo spirito della poesia. Lì ho incontrato il seme della riconoscenza, ovvero del riconoscersi a vicenda, e ho capito che il me stesso fisico non coincideva con il me stesso spirituale. Molti di noi per questo vedono la poesia come un esercizio circolare, inteso come un partire da un’origine per arrivarne ad un’altra dove potersi specchiare, e in parte è così; nel mio caso, praticare la poesia è una delle possibilità per entrare in contatto con lo specchio verticale dello spirito, dove risiede il rischio di potersi riconoscere annullando il proprio volto. Non mi pare di aver scoperto nulla di nuovo, ogni poeta è Narciso che indossa una maschera.


Quale la sua genesi nel tempo?

Sono partito con l’approfondire i classici, sia antichi che degli ultimi due secoli, per poi frequentare la poesia “di ricerca” degli ultimi trent’anni, di fatto le mie prime prove autoriali strizzavano l’occhio verso quella direzione di tipo oggettivante, fondata sul controllo raziocinante dello spirito. Per fortuna è durata poco. Col passare del tempo sono tornato al mio io per verificare quanto il mio Narciso potesse essere più profondo di me, e chi dei due possa infine riemergere dallo specchio, un giorno, sperando che non anneghino entrambi nel fiume delle parole e delle immagini. Ma quando si vive soltanto di queste, il rischio è sempre presente.


Quali i poeti che negli anni hai sentito più affini alla tua sensibilità?

Più che di poeti parlerei di poesie, di serie di poesie. Non credo esistano grandi poeti o poeti minori, ma grandi poesie e poesie minori. Ogni autore che si rispetti ha scritto entrambe. Posso dire che ci sono autori che riescono a sopperire a questo “problema” costruendo un poema ininterrotto dove, con il susseguirsi delle pagine, ciò che resta chiaro al lettore è la traccia dello spirito, la sua intenzione, che costringe il poeta a grande sopportazione, così come al rischio del fallimento e alla speranza di aver colto qualcosa di squisitamente umano e misterioso al tempo stesso. Di questi poeti ammiro le storpiature, così come la totale libertà fuori da ogni gabbia precostituita, pur rimanendo severi al proprio dogma. Se dovessi pensare a dei nomi in tal senso, restando al novecento italiano direi Amelia Rosselli e Lorenzo Calogero mentre, estendendo la questione oltre i confini nazionali, penserei a Paul Celan e a Rainer Maria Rilke, così come a Emily Dickinson. Ma ho amato e mi sento me stesso anche con varie poesie sparse di tantissimi autori, ovviamente.


Ti ritrovi nella riflessione trascritta di seguito di Giacomo Leopardi?

“Felicità da me provata nel tempo del comporre, il miglior tempo ch’io abbia passato in mia vita, e nel quale mi contenterei di durare finch’io vivo. Passar le giornate senza accorgermene, parermi le ore cortissime, e maravigliarmi sovente io medesimo di tanta facilità di passarle.

(Giacomo Leopardi, Zibaldone, 4417-18, 30 novembre 1828).

Mi ritrovo in parte, perché se è vero che quando scrivo entro in una dimensione parallela al mio esserci nel quotidiano, non posso dire di sentirne propriamente felicità, e nemmeno godimento. Se poi Leopardi intendesse questa felicità come annullamento del sé superficiale rispetto al sé che risiede nel profondo, più che di felicità parlerei di estraniamento, e dunque nessuna emozione precisa, solo pura incoscienza. Quando “riemergi” da questo stato, certamente accogli la realtà come un’enorme occasione ma anche come spegnimento di qualcosa che si accende solo in un determinato stato febbrile. E se la mettiamo così, in definitiva posso pensarla come il poeta di Recanati, perché la contemplazione di sé e del mondo senza esserci, o meglio, essendoci ma senza pensare di dover propriamente esistere, è quanto di più umano vi sia nella natura di questi esseri che siamo.






Antonio Bux (Foggia, 1982) è autore, editor e traduttore. Ha pubblicato oltre trenta libri e curato la pubblicazione di una sessantina di volumi altrui. Con le sue opere è risultato finalista in alcuni tra i maggiori premi letterari italiani, tra i quali il Viareggio, il Carducci, il Camaiore, il Città di Como, il Montano, oltre ad essere stato semifinalista alla prima edizione del premio Strega Poesia. Suoi lavori sono stati ospitati in autorevoli riviste italiane e internazionali, come Poesia, Nuovi Argomenti, Rai Poesia e Italian Poetry Review ed è stato antologizzato e tradotto in molti paesi, tra cui Spagna, Stati Uniti, Grecia, Romania, Messico e Russia. Si occupa di critica letteraria per il quotidiano “La Repubblica” e dirige quattro collane di poesia e prosa poetica.