Paolo Pistoletti: Quando questo spazio non ci basta più

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Cercherò, nella nota che segue, di evidenziare i tratti che a mio avviso rendono importante e significativa l’ultima raccolta di Paolo Pistoletti. Non è facile farlo poiché, in questo caso specifico, si rischia di non dire abbastanza, di non essere esaustivi. Occorre tempo per certa poesia. Tenterò, ad agni modo, di scrivere delle emozioni e della commozione che questa lettura mi ha suscitato.

 Al di qua di noi (Arcipelago itaca Edizioni, 2023) è il titolo dell’ultimo libro di Paolo Pistoletti, pubblicato a distanza di nove anni da” Legni”, la precedente raccolta di Paolo. Leggendo la silloge non ci stupiamo che al poeta sia servito tanto tempo per portarla a termine: completare un’opera di questo spessore significa infatti far posto a ricordi, a esperienze, significa riviverli, ripensarli e sentirli, studiarli con meticolosità e amore, vuol dire trovare un linguaggio poetico capace di restituire tanta vita, mancanza e dolore. In realtà credo che questo tipo di poesia si possa scrivere solo se, giorno dopo giorno, viviamo accanto alle cose e alle esperienze mantenendo sempre accesa quella parte di noi che scende in profondità, e che, senza tanti sforzi, sa conservare lucidità e attenzione. Poi, per trovare un’espressione poetica adeguata occorre talento, dedizione, saper attendere il momento propizio.

Senza sottrarsi mai a quelle esperienze che rendono autentica la condizione umana, il nostro autore ci invita a seguire una poesia in cui è costantemente presente un luogo oltre, “un altro mondo /da qualche altra parte /che non so” ma che non ha nulla di artefatto, non è sostanza evanescente, anzi, è fortemente sentito dall’autore, fa parte del suo modo di concepire e percepire la realtà, e tutto quanto sta oltre la realtà. Il dolore è presente “Fine pena mai”, e forte è la sensazione di stare in una situazione di perenne congedo, ma non vi è disperazione, perché al di là di noi c’è sempre qualcosa che avviene. C’è sempre quella mancanza che, in qualche spazio, continua a muoversi. “Che ci vorrebbe /come un altro spazio /quando questo spazio non ci basta più.”

Come scrive Fabio Franzin nella bellissima e articolata prefazione al libro: <<(…) in Paolo c’è la voglia, e il dolore, di far affiorare le sue parole dalle esperienze concrete, vissute nella propria carne, piuttosto che, da pur profonde, ma sempre algide e insufficienti, letture, per trasferire sulla carta una poesia che parli dell’umano all’umano.>>

Non solo. Pistoletti dimostra, in queste pagine di densa e preziosa poesia, di essere capace, quando occorre, di costruire invenzioni linguistiche in grado di restituire con immediatezza e limpidezza la percezione del divenire, dell’attimo in cui si perde il controllo di chi siamo esattamente: ” Io che poi la strada /prende il mio posto. /Tu che poi io /via alberata /sostituisci me.”, e facilmente si scivola verso un’altra persona, che ci somiglia, che ci vuole bene, che ci manca o ci completa. Questo libro è costellato di posti in cui l’assenza si fa presenza, parte integrante dello stare al mondo. Sono luoghi domestici, stanze che dimorano nel bianco dell’inverno: “Questo inverno che ci abita. /Questa strana pace da lanterna.”, o anche i paesaggi dell’Umbria, la parte meno esposta al sole, l’Appennino selvaggio che si osserva, viaggiando, dai vetri dell’auto:” Dall’auto il bosco lentissimo /al passo di una macchia /che si allarga, il fianco /prestato al sedile. /Tu che ti consegni al posto /fino a scendere.”

Di importanza vitale per la raccolta è la sezione “Hannover” preceduta dalla poesia “Interludio della casa della febbre prima di Hannover” che ha il compito di trasportarci in un’atmosfera di febbre e di attesa, in un momento di accudimento tutto domestico alla vigilia del viaggio per Hannover, organizzato da Paolo insieme all’amico Francesco. Forse si tratta del primo viaggio importante. Siamo nel dicembre del 1981. Le poesie della sezione non si addentrano molto nella descrizione della meta del viaggio, la città appare soprattutto come luogo immaginato da lontano, a volte luogo labile, comunque quasi sempre da raggiungere: “Chissà se esiste davvero /il nostro posto /ci chiedevamo come /da altre vite.”, mentre i due adolescenti viaggiano su un treno con “la testa piena di città /…/noi spaziavamo /tanto da parlare sempre /di Milano, Norimberga, Umbertide, /di Frankfurt am Main già verso Hannover.” In questa sezione, nel transito che la caratterizza, nei riflessi sui finestrini del treno, e in quell’idea di nord immaginato, affiorano precisi riferimenti a film degli anni Ottanta, ambientati in Germania. Hannover, a volte, appare come simbolo della Germania, un nord assoluto, “Un tempo che si fa spazio /in testa circolo /occhio artico dal centro /di Hannover.” Chi, come me, appartiene alla generazione di Pistoletti rintraccerà probabilmente l’atmosfera dei primi anni Ottanta del Novecento, riconoscerà, in parte, i treni su cui ha viaggiato, la sensazione di indossare gli indumenti di quell’epoca e anche il modo di portarli, l’idea adolescenziale di viaggio e una geografia che si sviluppa lungo la linea dell’immaginazione.

Il libro si conclude con tre testi sciolti, dove si parla ancora di tornare e di restare, dove il poeta si ritrova, spaesato, “in un treno ombra come in un sogno /da prima di me, preceduto /dal mio sé /nei ritorni. “

È poesia da approfondire quella raccolta nella silloge di Pistoletti, dalla quale si evince la conoscenza approfondita di alcune correnti spirituali, lo sguardo attento sugli accadimenti, sui luoghi e le persone care. A rendere pregevole la ricerca poetica del nostro autore è anche la sapienza con cui sa immergersi nei ricordi, fino a farli diventare materia presente, pulsante, eventi mai conclusi che già si completano, o andranno a completarsi in uno spazio che impareremo a costruire.

Perché “Il vero tempo non passa. /Lo spazio è già tutto qui, è già tutto qui.”

Dal libro

             [chi da per sempre

            torna chi parte

            sono]

Io che poi la strada

prende il mio posto.

Tu che poi io

via alberata

sostituisci me.

Che mi fui affidato

da nessuna pietà celeste.

Che chi ho qui ha di nuovo

male alle foglie, alle case

alle mura.

Che da fuori del temporale

ho già l’aria

di chi non c’è.

Dall’incessante giungo.

A lui ritorno.

Fine pena mai.

Si carica un altro mondo

da qualche altra parte

che non so. Così un altro io

che sarò stato

si sottrae dal mio nome.

Mi manchi all’appello mia dispersione

tra gli innumerevoli.

È l’ora

di non esserti più.

È l’ombra di andarsene.

Del mio tempo

verso dentro

una terra liquida

prima di nascere. Postumi dal cielo

amniotico

tra le acque rotte

mi ritrovo ogni volta

nato come dopo una sbronza

di dèi. Ancora un io vuoto

a perdere

un corpo

da ogni mio corpo come un estratto

da ognuno di me.

Mi succedo

dal mio sé.

Dal non ricordo oramai

di quante vite.

**

           [come sarà stato

           allora]

Adesso che ti nascondi dietro ai nomi

e non chiami.

Hai freddo fuori casa stai

in pensiero

nel tuo maglione di lana grosso

colore terra bruciata

tutto intorno

non ti accorgi

delle cose che sono

da loro

hai imparato

che oramai non ci sono più

senza te. Adesso che poi

ti rivedi in te che vai via

come un tempo

arriverà la svolta dell’estate. 

**

Stiamo per lasciare la nostra casa

stiamo per non stare più qui.

Come quando si confondono i piani

la pietra la calce il legno.

Come fanno i vecchi coi nomi di tutti

quanti quelli che dopo tanto

non li avranno più.

Più andiamo avanti più torniamo

giovani dentro

le foto

si sgranano

gli occhi si sfarina la vita

ma da di qua

ritrovo la nostra raccolta

di cose finite

in una sola immagine dietro

il campo visivo.

Come un’ultima messa

a fuoco

che ci siamo

forse stiamo

per lasciare la nostra casa.

Ma se ritorno indietro mi ricordo per sempre di me.

Di te. Di quando

ci ritroveremo ovunque

a sorridere di noi.

**

Dall’auto il bosco lentissimo

al passo di una macchia

che si allarga, il fianco

prestato al sedile.

Tu che ti consegni al posto

fino a scendere.

Contando a ritroso fino a te

all’uno ancora per poco

disteso sull’erba

già dietro

alle palpebre

–verso un sonno.

Come se per adesso tutto

il niente ti bastasse.

**

E il treno fischiava fino in fondo

fischiava e fischiava, e il treno

era dicembre, era l’ostinato

inverno dell’ottantuno, era

io con Francesco verso Hannover

eravamo noi, eri tu

che restavi con te nella misura

della nostra casa.

Tu tanto quanto la sala ad aspettare nel fumo

grigio fumo delle nostre marlboro

di fronte al camino a viaggiare

da solo.

Tu che da tutte le direzioni e da nessuna, rivolto a me:

“ti porto io alla stazione, e poi ti vengo a riprendere”.

Ma lo dicevi sapendo già che

io non avrei potuto ricambiare

–sono una frana per le strade.

Che dopo averti accompagnato

alla fine

non avrei saputo farti tornare.

**

Dentro ogni treno che parte un altro treno

ci ha fatto restare

un sogno la vita.

Dentro un altro diretto

da quale regia

in cabina da dietro

il dormiveglia. Un tempo che si fa spazio

in testa circolo

occhio artico dal centro

di Hannover. A fare da schermo

a un retroscena. Dalla fine

dei maglioni e dei jeans

come andavano allora.

Dal fondo dell’inverno

tra noi e noi.

In ogni fotogramma

ripercorsi da ogni io

come in un lungo lentissimo metraggio.

Ogni volta riavvolti

in trama noi. Una carrozza

tutta finestre e corpi sui vetri

così sottili da ritornarci indietro

sempre da qui

dal didentro dappertutto

siamo qua

un riflesso

fissi dentro uno sguardo

che ci guardava

come gli angeli nei film.

Siamo qua che si vedeva e non si vedeva il cielo sopra Berlino

senza un riparo

dalle nostre fattezze che non siamo, ovunque, mai.

Paolo Pistoletti lavora nella biblioteca comunale di Umbertide. Terminati gli studi in Giurisprudenza e in Teologia ha continuato ad approfondire i contenuti di alcune correnti spirituali d’oriente e d’occidente, ampliando, allo stesso tempo, la sua ricerca poetica. In poesia ha pubblicato Legni Ladolfi Editore 2014, Premio nazionale di poesia “Oreste Pelagatti” 2015 e il libro d’arte” Borgo San Giovanni” (Fiori di Torchio, Seregn de la memoria, 2018). Nel corso degli ultimi anni suoi contributi sulla poesia e la parola sono stati pubblicati da Fara Editore e dalle Edizioni CFR. È stato condirettore della collana di scrittura, musica e immagine La pupilla di Baudelaire della casa editrice Le loup des steppes. Al di qua di noi (Arcipelago itaca  Edizioni, 2023) è la sua ultima silloge.

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