Gabriela Fantato: “Terra magra”

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Recensione a cura di Mauro Ferrari del libro di Gabriela Fantato Terra magra, prefazione di Ivan Crico, Il Convivio, Castiglione di Sicilia, 2023.



Dopo alcuni anni di relativo isolamento, finalmente Gabriela Fantato pubblica un nuovo corposo lavoro, in cui confluiscono le tracce di una intensa esperienza di vita; quasi un bilancio, se non fosse che la poetessa non cade certo nella trappola dell’esplicito diarismo autobiografico. Terra magra riflette lo sforzo di mappare un territorio simbolico in cui campeggiano figure famigliari (il padre, in primis, e gli affetti), lampi di storia e di ideali sullo sfondo di una natura spietata: “La terra è dura, qui, distese di calcare / e indifferenza” (p. 14); “La terra è sfinita / le bocche in silenzio” (p. 29). La poetessa ci avverte però, come contraltare, che “la vita oscilla avanti e indietro, / senza sosta” (p. 93). E altrove: “La vita avanza, regala / – un sogno nuovo” (p. 111).

Ivan Crico, in sede di prefazione, centra l’immagine suggestiva di una terra che riparte dopo un incendio: ma è proprio la cenere di un incendio che fertilizza il suolo per nuova vita, così come i ricordi, in questa raccolta, per quanto dolorosi e ustionanti, formano un sostrato sicuro su cui provare a costruire “nella fragilità dei giorni” (p.  157), all’interno di una spirale geologica e archeologica che unifica le generazioni e la natura: “Siamo cellule / nell’eco della specie / un’origine senza un nome”” (p. 22); e poco oltre: “Viviamo una vita minerale / strati su strati”, p. 29). 

“occorre andare avanti” (p. 37), quindi, o meglio non è possibile evitarlo, presi come siamo in una spirale senza uscita. È questo, forse, a cui allude Rilke nel finale della X Elegia, in equilibrio fra destino e arbitrio: “E noi, che pensiamo alla felicità /  come a qualcosa che sale, / sentiremmo / l’emozione, che quasi ci sgomenta, / di quando una cosa felice cade.”. Ci pare infatti che il parallelo con il poeta delle Duinesi sia ribadito almeno in trasparenza dal finale di Un ciclo, la vita (p. 47): “E noi inconsapevoli e nudi, / solo un poco più magri ad ogni passo, /  scendiamo fradici / in un’allegria di birra e giorni”: questione ritmico-tonale, più che strettamente tematica, ma crediamo attinente.

La felicità, in questo libro, è fatta più di raggiunto equilibrio che di esaltazione panica: la natura che Gabriela Fantato descrive non ha nulla di alcyonio, ma piuttosto rimanda a un universo minerale in cui le voci non sono che echi, ricordi, che tornano o meglio persistono e quasi ossessionano, eppure fungono da sprone: “Eppure dalle crepe del cemento / ancora nascono ginestre fulgenti” dice la poetessa (p. 39): al di là della precisa notazione realistica, è impossibile non cogliere il valore emblematico della ginestra, con tutti i suoi sovratoni leopardiani di resistenza e titanica consapevolezza civile.

Lo sfondo ambientale della raccolta è – a livello realistico – il prediletto “posto di vacanza”, quel delta del Po che è zona di confine tra la terra, il fiume e il mare; ma soprattutto, al livello simbolico di cui sopra, si tratta di un presente cui si giunge dopo una lunga peregrinazione fluviale, una spiaggia in vista del mare, una serena anche se mai definitiva quiete dopo la tempesta da cui ripartire. Già i versi di apertura si aprono a suggestioni simboliche: “Dalla spiaggia ritorno sempre / con un sasso, un ramo liscio /o una conchiglia”: dico simbolico, ma forse con un coté allegorico: gli oggetti emblematici con cui la poetessa torna dalla spiaggia (luogo di riposo e svago, di quiete) sono montalianamente spogli, minimali, ma portano con sé ombre del passato (“Non so se ricordano il nome che li fece  /  – interi”), voci, ricordi.

Passato e presente si confrontano così in questi versi liberi, costruiti su ritmi pensosi e toni non di rado malinconici ma mai tragici, slanci civili che situano fermamente questa poesia nel presente anche storico. Su tutti, permane in ogni testo una venatura elegiaca che rimanda all’assenza, la perdita profondamente sentita del padre che, per quanto naturale (si ricordi Amleto) non può mai essere medicata: impossibile quindi non “sentire nel vento . . . / la voce ruvida di mio padre” (p. 81). “Eri la mia terra” (p. 88) dirà la poetessa, chiudendo in maniera esplicita un cerchio simbolico che però conduce a un tempo in cui [si aspetta]“il tempo del raccolto” (p. 137).

                                                



Gabriela Fantato, critico e poeta. Le sue raccolte poetiche: Terra Magra (Il Convivio, 2023)prefazione di Ivan Crico; La seconda voce (Transeuropa, 2018); L’estinzione del lupo (Empiria, 2012); A distanze minime (in “Nuovi poeti italiani 6”, Einaudi, 2012); The form of life, trad. E. Di Pasquale (Chelsea Editions, New York, 2012): Codice terrestre (La Vita Felice, 2008); Il tempo dovuto. Poeise 1996-2005 (editori&spetttacolo, 2005); Northern Geography, trad. E. Di Pasquale (Gradiva Publications, New York, 2002); Moltitudine (in Settimo Quuaderno di poesia italianq, Marcos y Marcos 2001): Enigma, (DIALOGOlibri, 2000); Fugando (Book, 1996). Ha curato con Luigi Cannillo La Biblioteca delle voci. Interviste a 25 poeti italiani (Joker, 2005), e diretto la rivista di poesia, arte e filosofia “La mosca di Milano”.

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