actinorizze (IX): Mauro Ferrari

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Ciao Mauro, di strada insieme ne abbiamo fatta tanta e ce n’è ancora tanta davanti. Rispetto a vent’anni fa leggi meno, o meglio, forse selezioni ancora di più cosa leggere e i volumi che girano in casa per fortuna hanno sempre argomenti molto diversi tra loro, generi vari e nazionalità differenti. Rispetto a vent’anni fa però hai ampliato anche i tuoi strumenti di conoscenza: usi molto di più i canali online e le piattaforme di informazione internazionale. Cosa stai leggendo? E quante letture vengono influenzate da cosa segui online?

Credo, come tutti, di avere attraversato una fase di letture compulsive, che hanno in qualche modo bilanciato il mio immutato riserbo verso la scrittura. D’altronde, essendo stato dalla fondazione (1995) al 2007 direttore di una rivista allora importante come fu La clessidra, avevo anche l’impegno, oltre che il piacere e la necessità, di leggere più poesia e critica possibile. In effetti mi sentivo quasi in obbligo di leggere da cima a fondo libri che, già dalle prime pagine, promettevano poco, tenendo persino un precisissimo diario delle letture… Oggi, come direttore di puntoacapo e di vari suoi progetti (nostri progetti), ho l’impegno di valutare le tantissime proposte e di seguire quelle più convincenti: il mio “programma” di letture personali, al di fuori di questo, è quindi più circoscritto ad autori e titoli che mi stimolano, anche se, da lettore curioso e molto eterodosso, mi piace andare alla scoperta di voci che ancora non conosco, approfittando della mole di libri che arrivano in redazione.
Il mio rapporto con i social è molto parco: uso facebook da pochi mesi, e con estrema cautela: se da un lato è uno strumento impareggiabile per aprire e tenere contatti, per informare ed essere informati, è anche vero che non voglio entrare nelle infinite diatribe che, in modo spesso sterile, affliggono la poesia (e non solo quella). Da convinto “assenzialista” insomma. È poi naturale che, comunque, anche dai tanti stimoli positivi dei social provengano suggestioni e suggerimenti per nuove letture.
Cosa sto leggendo? Al momento ho appena chiuso una serie di libri di letteratura: La materia del contendere di Giancarlo Pontiggia (Garzanti), libro che ritengo di importanza storica, la raccolta di saggi Poesia che fa civiltà di Gabrio Vitali (Moretti&Vitali) e il saggio di Paolo Lagazzi su Bertolucci (La casa del poeta, La nave di Teseo). E, un po’ lentamente, sto rileggendo l’Eneide – ma è sempre bene seguire i giovani – e questo mi pare farà strada. A proposito di quest’ultimo libro, trovo la traduzione della Calzecchi Onesti magari filologicamente corretta, ma ben poco “poetica”. Ben altra cosa l’Odissea di Pindemonte e l’Iliade del Monti, che sono una gioia per ogni poeta! E difatti sono libri che ho letto più volte (specie l’Odissea).


Sei una delle persone più oculate negli acquisti che conosca. Sui libri ancora di più, forse perché molti arrivano direttamente sul mio tavolo e forse perché quello che acquisti è per pura conoscenza, per aprire nuovi varchi per la tua mente. A prescindere dal genere, che cosa ti spinge a voler comprare un libro? Cosa cerchi?

Oggi raramente acquisto libri di poesia: quasi tutti i titoli importanti (o presenti tali) arrivano in redazione anche se poi, alla fine, è un piacere andare alla scoperta di raccolte di poesia di valore. I libri che ultimamente acquisto sono invece di storia, filosofia, scienza: credo che un autore debba aprire più possibile la mente, e sono convinto che un poeta, un pittore, un filosofo e uno scienziato facciano essenzialmente lo stesso lavoro, anche se con mezzi diversi (nemmeno troppo, fra l’altro).


Negli anni ho imparato come funziona la tua rete di riflessione e come questa sia indissolubilmente legata allo studio, all’approccio ai volumi non come mera lettura superficiale ma come entrata in profondità in essi. Molte delle tue riflessioni (e talvolta le relative scritture) si rifanno alla tua formazione linguistica e ai tuoi autori preferiti che credo tu identifichi anche come Maestri (penso a Eliot). È così? O qualora tu andassi a periodi, perché ricorri a quelle determinate letture?

Come dicevo, oggi leggo soprattutto per trovare stimoli e idee, seguendo percorsi non di rado casuali o, forse, improntati alla junghiana sincronicità: se un libro mi attrae, specie se non è di poesia, è segno che smuove qualcosa in me; qualcosa che non saprei spiegare ma che, molto spesso, si chiarisce a posteriori. È il caso dell’ultimo libro letto, un saggio non recentissimo di Auerbach, Lingua letteraria e pubblico nella tarda antichità latina e nel Medioevo.
Mi chiedi dei miei autori di riferimento. Io di formazione sono anglista, e le mie prime vere letture formative sono stati i modernisti anglosassoni, letti in originale: Eliot, certo, ma anche Wordsworth, Yeats (il mio favorito), Pound, Hughes, e diversi contemporanei. Curiosamente, come sai, dai tre grandi Modernisti di inizio Novecento mi divide una impostazione ideologica e filosofica del tutto divergente. Anche questo però è stato uno stimolo potente a domandarmi per quale motivo apprezzassi così tanto la loro poesia, e tutto sommato anche una critica feroce e spesso centrata verso lo “stato delle cose” (allora come ora), mentre ripudiavo (allora come ora) le loro proposte e soluzioni, che andavano in direzione di uno stato etico (Pound), una oligarchia terriera (Yeats) o uno stato fondato su principi mistico-cristiani (Eliot). In quest’ultimo caso, so che si potrebbe obiettare: ma come, rifiutare pietas, amore verso il prossimo eccetera? Non è qui la divergenza, è chiaro, ma il discorso sarebbe complesso e ci porterebbe fuori. A contatto di tanta grandezza mi sorgevano insomma domande impegnative e risposte sempre parziali, incerte, insoddisfacenti. Ma se devo citare un verso esemplare o una idea folgorante… con loro vado sul sicuro.
Mi chiedi perché alcuni libri, e certo anche singole poesie, sono una costante fonte di piacere e ispirazione, una sorta di rifugio a cui tornare. Io credo che, al di là delle letture regolari, ogni poeta abbia necessità di modelli ideali, che possono essere sia stilistici che tematici. Ad esempio, io ho imparato dai modernisti la cura del ritmo e dell’economia delle parole oltre che la necessità di precisione assoluta – non solo terminologica ma anche come capacità di “colpire il bersaglio”, riuscendo a dire esattamente ciò che si ha in mente. La curva del significato, in termini poundiani.
Yeats, detto della mia distanza “politica”, è un modello insuperabile di armonia. Leggere ad esempio After Long Silence, così breve ma intensa e perfetta, fa sentire chiunque inadeguato. O, restando a lui, seguire il flusso delle immagini e delle idee in The Fisherman ti insegna a coordinare e idee, ad essere evocativo ma preciso, profondo; fertile; o ancora, capire come sia riuscito, nei quattro versi di apertura di In Memory of Eva Gore-Booth and Con Markievicz, a ricreare il movimento della macchina da presa ti fa capire cosa vuol dire usare le immagini:

The light of evening, Lissadell,
Great windows open to the south,
Two girls in silk kimonos, both
Beautiful, one a gazelle.

L’armonia che citavo in Yeats per me è la stessa di Foscolo, e in certa misura
di Leopardi e di Montale. L’apertura della Casa dei doganieri, o la struttura dell’Anguilla, per dare due esempi molto noti, sono modelli insuperati di orchestrazione dei significati. Da Sereni o Bertolucci si può imparare l’abbassamento tonale, come resistere cioè alle tentazioni della retorica, un pericolo sempre in agguato, ed esiziale per la poesia. Dai grandi modernisti, non solo Eliot, ho cercato di capire come gestire tante idee anche eterogenee, armonizzandole in una composizione lunga, cosa che ho sfruttato nel mio poemetto La spira.
È chiaro però che il modo in cui un autore legge, recepisce e soprattutto metabolizza un altro è molto soggettivo, perché i grandi sanno dire cose diverse a ciascuno: i loro testi più riusciti, poi, sono tanto fertili – per riutilizzare un termine che ho giù usato – che sfuggono a una lettura univoca, il che ha anche a che fare con l’ambiguità tipica del testo poetico, che non è gioco combinatorio né oscurità disonesta (in senso sabiano), ma ricchezza a volte inafferrabile, anche al di là del riferimento ai Sette tipi di ambiguità di William Empson o dei Funamboli di Melchiori.