actinorizze (VIII): Marco Ercolani e Lucetta Frisa

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Ciao ragazzi, ci si incontra sempre più di rado ma la nostra conoscenza è antica e risale a quando io studiavo ancora e voi già scrivevate da tempo, sperimentavate e avete rappresentato per me la prima coppia di artisti che lavorava e condivideva anche la vita quotidiana. Un tutto sia reale fatto di vita familiare, che intellettuale costruito con percorsi individuali ma anche con progetti sviluppati insieme. Per me fu folgorante il vostro lavoro a quattro mani “Nodi del cuore” del 2000 uscito per Greco&Greco. Ho sempre immaginato che per questi due percorsi ciascuno faccia letture anche nettamente diverse, o frequentazioni di mostre, libri d’arte, docufilm. È così? E adesso, in questo periodo cosa state leggendo? E vi passate le letture l’un l’altro?

Avendo voi una attività anche di segnalazione di letture interessanti ricevete molti libri, ma quando comprate voi i libri come li scegliete? Andate alla ricerca di volumi particolari? Collezionate edizioni prime?

Ci sono testi a cui tutti noi siamo legati affettivamente o per motivi di concomitanza, voi avete come coppia artistica dei libri ai quali tornate insieme? Oppure volumi sui quali non avete mai raggiunto un accordo ma che ciclicamente tornano nelle vostre letture?

Tornare a dire

Marco Ercolani

Il discorso della lettura, Cristina, è sempre intrigante: in fondo, si legge ciò che ci vorrebbe scrivere. Lucetta legge e traduce i poeti francesi, da Maurice Scève a Claude Esteban a Bernard Noël, i poeti inglesi, da John Clare a Gerard Manley Hopkins; io leggo Thomas Bernhard e W.C. Sebald. A volte ci leggiamo reciprocamente le pagine dei nostri autori, spesso al mattino a colazione. Oppure indugiamo a chiederci cosa ci piacerebbe ancora scrivere e rileggiamo noi stessi, ripartiamo da ieri.
I libri? Ne acquistiamo sempre, stimolati dagli inserti culturali dei quotidiani domenicali, da “Robinson” ad “Alias”, da “Lettura” al “Domenicale”, per conoscere le novità. L’informazione stimola l’affinità elettiva con autori noti (ultimo fra tutti Correzione di Bernhard o Memoria della memoria di Marja Stepanova o le Memorie di Nadezda Mandel’stam). Ma anche il contrario: la curiosità per l’opera di autori ignoti che frequentano temi a noi familiari, la follia, la fiaba, la poesia, la filosofia, ci spinge a conoscere i loro libri. Chi rileggiamo sempre? Leopardi, Novalis, Dickinson, Walser, Calogero, Kleist, Kafka. Non andiamo alla ricerca di volumi particolari, non collezioniamo prime edizioni. A cosa ci serverebbero? Tutti i libri sono “prime edizioni” di una scrittura sempre in ricerca. Poi, certo, ci passiamo i libri come due settantenni che giocano. Oppure inventiamo scritti apocrifi in cui reinventare il pensiero, il desiderio, la magia, di scrittori che vogliamo ancora vivi dentro di noi.
Ora siamo nella fase dei libri ciclici, dei classici, da Omero a Tasso a Lucrezio. Rileggiamo ciò che ci diede e ci darà piacere, dall’Odissea alle Operette morali, ai saggi di Montaigne agli appunti di Canetti. Classici sono i libri che non possono invecchiare, che non ci fanno invecchiare, che ritroviamo sempre dentro di noi. L’età non consente più di divagare o perdere tempo. Quando scrivevamo Nodi del cuore era entusiasmante trovare in coppie celebri del passato immagini e pensieri contemporanei, vissuti come nostri. Nel lontano 1999 iniziammo a scrivere il libro, sulla scia di S. Juan de la Cruz e Teresa d’Avila, Virginia e Leonard Woolf, Orson Welles e Rita Hayworth, e decine di altri autori. Come scrive Baudelaire: “Il poeta gode di questo incomparabile privilegio di poter piacere a se stesso e agli altri. Come quelle anime vagabonde che bramano un corpo, lui penetra a suo talento nella maschera di chiunque”.
Scrivere a quattro mani è un atto complesso: di solito io cerco i temi, Lucetta li elabora e li sviluppa, ma può accadere il contrario, non c’è una regola fissa. Poi, alla fine, si corregge insieme, dopo aver letto i testi a voce alta, come a teatro. Condividere idee, immagini, ricordi, è il primo atto: poi bisogna trovare il modo la giusta forma, il racconto efficace. Scrivere insieme è accordare uno strumento comune e così migliorare anche se stessi individualmente.
Frequentare mostre? Vedere film? Un’abitudine sempre condivisa. In un certo momento della nostra vita io ho messo a nudo le cronache del mio lavoro di psichiatra e con Lucetta le ho elaborate, da Anime strane a Sento le voci, vincendo reticenze e pudori.
Leggere nuovi libri è sempre necessario? Sempre no: a me accade spesso per il mio blog, Scritture. Lucetta, su questo, è meno interessata di me, ma mi ascolta: e il “sentire” dell’altro, in noi coppia scrivente, è indispensabile per portare avanti il nostro lavoro con entusiasmo e determinazione, senza deviare dalla nostra strada: la ricerca di una bellezza suggestiva ma anomala.

Lucetta Frisa

Aggiungerò alle riflessioni di Marco una cosa mia: la necessità di tradurre. Tradurre, soprattutto poesia, è indispensabile. Scrivere versi non è semplice: occorre un rigore costruttivo e un amore per l’energia della lingua. Fondamentale, per un poeta è l’esercizio della traduzione. La poesia è un lavoro ostinato. perché la parola voli oltre ogni tipo di sbarre. Ogni esercizio poetico, fin dall’adolescenza, corrisponde a un esercizio di conoscenza, di approfondimento della realtà, di conquista di un’altra vista: una sorta di veggenza, simile a quella del mistico. Si può essere mistici religiosi come mistici laici, anche atei, e cercare comunque conoscenza, vivere “in stato di poesia”. Scrive il poeta catalano Gabriel Ferrater: “scriviamo poesia per il desiderio di vedere fin dove possiamo elevare l’energia emotiva della lingua”. Cristina parla di “ciò che ciascuno custodisce di quello che lo attraversa e che condivide con gli altri.” Fin dall’inizio la poesia è stata, per me, questo essere traversati da un messaggio misterioso, da una condizione di allarme, di stupore. La poesia contiene in sé, come osserva Novalis, tutta la realtà nella sua interezza simultanea e contraddittoria, e arriva da un’emozione, di qualunque natura sia. Può essere la parola letta e ascoltata, un concetto filosofico, un’immagine imprevista, il dettaglio di un quadro: dall’esterno penetra nella nostra interiorità, la rielabora e traduce in parola. Io concepisco la poesia come uno spartito musicale. Dopo averla letta o scritta, la poesia deve lasciarmi lì, con le orecchie che ronzano, e la sensazione di avere capito poco ma di essere turbata da quanto non ho capito: quell’istante, rigoroso e vertiginoso, è la mia esperienza poetica. La parte più intima di me, quella inesprimibile, si affida alla maschera delle parole, alla loro sapienza, ai loro vuoti e ai respiri. Con Marco, che continua a riflettere con le sue incursioni critiche sul farsi della poesia e che non smette mai di interrogarsi sulla polifonia delle voci poetiche, da Fuoricanto a Vertigine e misura, era naturale incontrarsi e scrivere insieme. Ricordo il libro più nostro, Furto d’anima (ultima versione di Nodi del cuore): un libro composto da quaranta lettere, reali e immaginarie: un viaggio perturbante in un passato remoto e recente, dove coppie di artisti e di scrittori confrontano le parti-ombra delle loro emozioni, i loro più intimi pensieri, e si offrono impudicamente allo sguardo del lettore con quello che avrebbero ancora potuto dire, scrivere, pensare. In queste lettere, che talvolta sono scritture intime e frammenti di taccuini, si apre una prospettiva altra, che sonda conflitti e intrecci, fra arte e vita, alla ricerca di una “giustizia” postuma, ipotetica e poetica che vorrebbe riportare alla luce parti segrete e “scomode” di verità mai esplorate fino in fondo. Opere ed esistenze non vogliono essere consegnate ai cimiteri di una storia definita una volta per tutte. Rimangono, nel passato come nel presente, enigmi pronti a essere indagati. Pagine immaginarie si alternano a pagine autentiche, e nel contrasto che si apre tra l’autentico e l’immaginario affiorano esperienze etiche e conoscitive perturbanti, che dal passato si irradiano nel presente come narrazioni oltre i confini del possibile. Le voci femminili vogliono increspare verità storiche stratificate in convenzioni e silenzi e finalmente emergere dall’inespresso o dal fraintendimento. Le voci maschili confessano i loro errori e le loro prepotenze impotenti. Tutto il libro è la possibilità, fantastica, di tornare a dire ancora “oltre la morte”, come uomo e come donna, talvolta scambiandosi di ruolo. I personaggi risvegliati dagli autori non sono spettri antichi ma voci entrate nella complessa virtualità del presente.
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Pochi autori si confrontano con la scrittura a quattro mani: vivono sigillati nella loro unica voce. Ma è essenziale, almeno per noi. Così non si è più soli ad inventare: si è sempre come su un palcoscenico a provare noi stessi.
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