Immagine: Jamie Heiden Photography
SILLABARI
Rubrica a cura di Silvia Rosa
GRAZIE | PIETRO RUSSO
In Tutte le ossa cantano la canzone d’amore solo due volte occorre la parola grazie (in altre occasioni il concetto è affidato al verbo “ringraziare”). Una parola strana, se la vediamo sotto l’aspetto della grammatica: sarebbe, per come la intendo io, un sostantivo maschile invariabile che nasce da un sostantivo femminile plurale e che noi usiamo – quando la usiamo – come interiezione di cortesia/educazione/rispetto negli scambi quotidiani. Una parola, insomma, poco incline ai tag di genere e di numero oltre che alle classificazioni del discorso. Il fatto, credo, è che grazie è una parola che si dice e dicendola si fa. Non è scontato che ci sia quello che c’è, la materia poteva non esserci, e quindi anche noi; niente di quello che ci è dato è (solo) merito nostro: e allora, grazie. Tutte le ossa cantano la canzone d’amore vuole essere un inno di lode alla maestosità e alla bellezza della creazione sempre in atto. Immagino che la poesia sia nata così. Non serve a niente, la poesia, se non è servizio di gratitudine, di ri-conoscenza, ovvero di riconoscere il posto assegnato a ogni cosa, anche alla nostra specie cosciente. In fondo non servono molte parole quando si dispone di un grazie da restituire all’universo, anche urlandolo tra i binari ferroviari in una mattina chiara, senza ragione, gratis – per una grazia che prima o dopo torna sempre all’origine.
da Tutte le ossa cantano la canzone d’amore (peQuod, 2024)
Un tempo non sapevo vedere
oltre le tue spalle.
Oltre le tue spalle i leoni
mi avrebbero sbranato e digerito.
Dico questo sapendo di sembrare ridicolo.
Ho imparato nel frattempo a dire Scusa e Grazie.
Allora mi mancavano le parole
per allestire un circo
*
con la faccia affondata
nella sabbia
poi tra le braccia dell’angelo
ausiliare, non custode
keep the bodies at bay
cantava una madre
vestendo di rosso il figlio
cantava che potessero vederlo
una cosa rossa tra gli scogli
keep the bodies at bay
mio figlio nella pancia di sua madre
una forma blasfema della grazia
tienilo lontano dalla spiaggia
dalle onde quando si rovescia la grazia
*
stanotte ho bussato al tuo orecchio
non avrei voluto essere al tuo posto
però ho detto
i figli
abbiano il disarmo delle nostre viltà
e un sole che si sposta
dai tavolini del bar alla strada
e sulla strada le auto in fuga dalla città
per cercare un posto dove il sole
è ancora la benedizione più alta
sia questo il loro momento
di ringraziare
anche per me che sarò altro
nella terra o in un migrare di vento
*
Pietro Russo vive a Catania. Insegna Lingua italiana agli stranieri. Il suo primo libro di poesie, A questa vertigine (2016), ha vinto il premio Violani Landi per l’opera prima. Ha pubblicato una plaquette in lingua siciliana, Eppuru i stiddi fanu scrusciu (2022), e ha co-curato Contemporary Sicilian Poetry. A multilingual Anthology (New York & Bristol, 2023). Organizza ed è direttore artistico di alcuni incontri di poesia in Sicilia. Alcuni suoi testi sono stati tradotti in Canada, negli Usa, in Austria.
