Extra verso (V) – Gianni Montieri

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Fotografia di Dino Ignani

Ciao Gianni, intanto grazie di avere accettato di stare con noi a Bottega Portosepolto e di rispondere a un po’ di domande, partiamo dalla fine, il tuo ultimo libro di poesia si intitola Ampi Margini (Liberaria, 2022) e dentro ci sono i tanti mondi di Gianni Montieri: il calcio, Napoli, Venezia, la tua giovinezza, gli scrittori amati, i luoghi in cui hai vissuto, in cui vivi. La poesia può davvero raccontare tutto? In cosa supera o se vuoi differisce dalla prosa? (tu che scrivi anche in prosa)

Ciao Laura, grazie a te e a voi.

Il confine tra poesia e prosa è decisamente sottile, soprattutto se pensiamo a cosa si possa o si debba raccontare. Una volta che si ha un’idea, si imposta un progetto, si decide cosa si voglia raccontare ci si mette poi al lavoro. Chiaramente, la poesia ti concede di accelerare e, volendo, di lasciare indietro eccessi di descrizioni, di aggettivi. Il modo di comunicare con chi legge è un po’ diverso, bisogna instaurare una sorta di dialettica dell’immaginario (titolo che Lucio Dalla avrebbe voluto dare a Cara). La sospensione, lo stupore, l’attesa, il respiro non devono mai mancare, ma non credo che la poesia superi la prosa o che possa rivendicare in qualche modo un primato: ci sono molte strade, nessuna è sbagliata, magari in una puoi usare un tipo di scarpe, in un’altra ci puoi andare anche scalzo. Perciò tutto quello che entra, come dici tu, nelle mie poesie, ci entra perché fa parte della mia dialettica, del mio immaginario, ma anche del mio quotidiano. Insomma, è il mio modo di guardare alle cose.

Non direi che la tua sia una poesia del paesaggio, eppure le città, i posti che hai attraversato hanno un posto importante nella tua scrittura, ci sono nel tuo scrivere un tempo e un luogo definiti, dai contorni netti non sfumati, come se la poesia li fermasse per sempre nell’istante in cui vengono visti, cosa significa per te attraversare un luogo con i versi?

Significa credo fare memoria, ma anche imparare, non conosci niente finché non lo scrivi. Un luogo, in cui abbiamo vissuto a lungo o un altro in cui siamo appena passati, diventa chiaro (per me) solo sulla pagina, perché credo siamo composti da un sacco di molecole, particelle, atomi e lì dentro si muove anche il pulviscolo dei luoghi, che non sono mai solo muri e tetti e strade.

Nei tuoi testi hai anche raccontato la difficoltà degli adolescenti nati  negli anni ’70 nella provincia del Sud Italia,  la difficoltà di vivere una giovinezza spensierata, non segnata da violenza e dall’ indifferenza sociale “Morivamo già a vent’anni/ chi per droga, chi per colpa/ qualcuno schiantato in tangenziale/ l’enfasi del racconto/ prevedeva molto sangue/ una moto accartocciata/ la scenografia”  non credi però che, quasi per reazione o spinta di contrasto, questa stessa fatica possa essere stata anche una forza  alla tua scrittura?

Di certo ha rappresentato una spinta, una delle tante, ma principalmente come possibilità di avere tra le mani un racconto esteso. Non eravamo sopravvissuti, ma l’avevamo scampata, senza saperlo. Facevamo le cose che fanno i ragazzi mentre ci sparavano intorno, ma non avevamo paura, quella magari l’abbiamo avvertita dopo. Avevamo un orizzonte più basso lungo il quale dispiegare i nostri sogni, che allora ci apparivano minori, ma non lo erano, erano solo difficili da applicare, ma esistevano. Esistono.

Quando sei stato ospite a Pesaro a “Vaghe stelle dell’Orsa” hai detto: “Oggi non ho più la rabbia che avevo da ragazzo quando tornavo a Napoli, oggi ho piacere di rivedere la città, la sua bellezza”, la poesia può ricucire lo strappo?

La poesia può fare molte cose, ma lo strappo lo ricuciono solo il tempo e la giusta distanza, quella da cui a un certo punto della vita prendiamo a guardare le cose.

Sei uno dei pochi che sa raccontare il calcio (e non solo) con eleganza e una penna finissima, (splendide le poesie dedicate a Maradona), quando hai iniziato a vedere lo sport come argomento degno di essere raccontato con i versi? A quando risale la tua prima poesia su questo tema?

Il calcio è una passione che mi accompagna da sempre, non sono certo il primo che ne scrive in poesia; è una delle mie unità di misura del tempo (di nuovo), del nostro cambiare. Soprattutto è una cosa attraverso la quale si possono raccontare l’infanzia, l’adolescenza, la società e, in qualche modo, il futuro.

Se dovessi ringraziare qualcuno per l’amore alla poesia, per quello che ti ha rivelato e ti rivela, chi sarebbe?

Gli scaffali colmi di libri che avevamo a casa. Melville e Montale stavano uno accanto all’altro, è cominciato tutto da lì, leggendo, e leggere è la cosa che mi piace di più. Se devo dire un grazie lo dico ai miei genitori.

Quali sono tre poeti o poete che non possono mancare sulla tua scrivania o sul tuo comodino e perché?

Tre sono veramente pochi, specie se pensiamo a scrivanie, a comodini. Ma provo. Milo De Angelis, perché è un grandissimo poeta con il quale posso parlare di calcio. Giovanni Raboni perché mi ha insegnato ad attraversare Milano e quindi tutti i luoghi e credo mi abbia insegnato a non esagerare. E poi Anna Maria Carpi, che, come Milo, è un’amica, e che con i suoi occhi luminosi venne ad ascoltarmi curiosa tanti anni fa, senza sapere chi fossi. Dietro poi ce ne altre sono decine di ogni tipo. Al momento nei dintorni della mia scrivania ci saranno una trentina di libri (e non è il record).

Tu scrivi per importanti testate, ti occupi di critica, di letteratura, di sport, scrivi poesia e prosa, ma se dovessi usare un solo sostantivo per definire la tua attività quale sarebbe?

Attenzione

(nel senso di prestarla).

Ad una giovane o a un giovane che si affaccia al mondo della poesia, che vuole scrivere, cosa consiglieresti?

Di leggere tanto, di leggere avidamente e poi di non arrendersi, se poesia dev’essere, poesia sarà.

Ringraziandoti di essere stato con noi, non posso non chiederti a cosa stai lavorando, cosa aspettarsi da Gianni Montieri nei prossimi mesi?

Ehm, non posso dire molto. Sto lavorando a due cose. La prima che vedrà la luce sarà un libro che ha a che fare con il treno inteso come oggetto, materiale e dell’anima, un po’ saggio, un po’ fiction, un po’ memoir. La seconda riguarda la poesia, sto lavorando ormai da un po’ a un libro nuovo con un tema abbastanza definito, ma che ha bisogno di ancora un po’ di tempo.

Grazie.

Gianni Montieri vive a Venezia, ha pubblicato “Ampi margini” (Liberaria, 2022), “Le cose imperfette” (Liberaria 2019),  “Avremo cura” (Zona 2014), “Futuro semplice” (2010), “Napoli e la terza stagione” (66than2nd, 2023), “Andres Iniesta, come una danza” (66than2nd, 2021), un racconto della vita del fuoriclasse spagnolo. Con Anna Toscano ha scritto “111 luoghi di Venezia che devi proprio scoprire” (Emons, 2023). Scrive  per Huffington Post, il Manifesto, Minimaemoralia, Esquire, Doppiozero, Il Napolista, Ultimo Uomo. E’ redattore per la rivista bilingue The Florence Review ed ha collaborato per diverse edizioni come come coordinatore artistico al Festival del matti a Venezia.

Una replica a “Extra verso (V) – Gianni Montieri”

  1. Avatar Ampi margini, un’intervista di Laura Corraducci (su Bottega del porto sepolto) – gianni montieri

    […] Il confine tra poesia e prosa è decisamente sottile, soprattutto se pensiamo a cosa si possa o si debba raccontare. Una volta che si ha un’idea, si imposta un progetto, si decide cosa si voglia raccontare ci si mette poi al lavoro. Chiaramente, la poesia ti concede di accelerare e, volendo, di lasciare indietro eccessi di descrizioni, di aggettivi. Il modo di comunicare con chi legge è un po’ diverso, bisogna instaurare una sorta di dialettica dell’immaginario (titolo che Lucio Dalla avrebbe voluto dare a Cara). La sospensione, lo stupore, l’attesa, il respiro non devono mai mancare, ma non credo che la poesia superi la prosa o che possa rivendicare in qualche modo un primato: ci sono molte strade, nessuna è sbagliata, magari in una puoi usare un tipo di scarpe, in un’altra ci puoi andare anche scalzo. Perciò tutto quello che entra, come dici tu, nelle mie poesie, ci entra perché fa parte della mia dialettica, del mio immaginario, ma anche del mio quotidiano. Insomma, è il mio modo di guardare alle cose. [continua a leggere su Bottega del porto sepolto] […]